Andrea Pozzo nacque a Trento il 30 novembre 1642, dalle seconde nozze di mastro Jacopo con Lucia Bazzanella, celebrate il 15 gennaio 1637. La famiglia di Andrea Pozzo aveva tra i suoi membri, diversi artisti lacuali dei Pozzi di Valsolda. Inoltre, aveva un fratello minore scultore e architetto, Jacopo Antonio, che diventò frate carmelitano con il nome di Giuseppe.
Andrea Pozzo si distinse sia nella pittura, sia nell’architettura sia nelle tecniche scenografiche. Scrisse pure il Perspectiva pictorum et architectorum, un importante trattato di prospettiva.
A Trento, tra il 1652 e il 1659 circa, studiò nella Scuola dei gesuiti e la sua formazione avvenne presso un pittore del quale non conosciamo il nome, ma che sappiamo frequentò per tre anni.
Successivamente entrò in contatto con le principali botteghe di altaristi trentini, come quella di Mattia Carneri.
In seguito, volendo seguire la sua vocazione religiosa, pensò di diventare carmelitano scalzo come il fratello, ma gli fu impedito per la sua gracilità.
Tra il 1662 e il 1664, si trasferì a Milano dove fu accompagnato da un pittore di Como, poi identificato con Giovanni Ghisolfi o Antonio Busca e li rimase per due anni.
Durante il periodo di collaborazione con quest’artista, poi chiusasi bruscamente, dipinse dodici quadri, poi andati dispersi, raffiguranti mezze figure di vecchi e di apostoli.
In seguito, studiò da autodidatta e il 23 dicembre 1665, entrò nella Compagnia di Gesù, presso la chiesa di San Fedele a Milano.
Tra il 1665 e il 1667, iniziò il noviziato in Piemonte, probabilmente nella domus probationis a Chieri.
Fece poi rientro a Milano e ricevette numerose commissioni, anche in altre località: a Genova, nella chiesa dei Santi Ambrogio e Andrea (già del Gesù), tra il 1671 e il 1672, dipinse per la cappella Spinola L’Immacolata porge Gesù Bambino a San Stanislao Kostka e si occupò della decorazione pittorica della volta e di altre parti della cappella dedicata al nuovo santo Francesco Borgia, per la quale dipinse anche la pala raffigurante San Francesco Borgia, la Madonna con il Bambino e Sant’Anna.
Tornò poi a Trento, per un breve periodo, nel 1672 e a Genova nel 1673, dove dipinse la Predica di s. Francesco Saverio, poi trasferita nella collegiata di Novi Ligure. Visitò probabilmente anche Venezia.
Del 1675 sono:
- La Disputa di Gesù tra i dottori del Tempio, per la cappella della Confraternita della dottrina cristiana nella chiesa di San Defendente a Romano di Lombardia (attualmente presso il Museo d’arte e cultura sacra della medesima cittadina);
- Il Miracolo di San Siro, per il Duomo di Pavia (oggi nella chiesa del Seminario vescovile);
- La Sacra famiglia e angeli per il santuario a Trento della Madonna del Carmelo alle Laste (ora nella chiesa di San Pietro a Lasino), tema ripetuto anche per una pala nella chiesa di Santa Maria a Cuneo.
Andrea Pozzo iniziava così a produrre numerosi bozzetti che dovevano servire come modelli iconografici che sia lui sia i suoi allievi avrebbero poi utilizzato.
Il 2 febbraio 1676, Andrea Pozzo professò i voti religiosi nella chiesa di San Fedele a Milano: da quel momento la sua vita artistica sarebbe stata vincolata a quella gesuitica.
Successivamente si occupò della decorazione nella chiesa della Missione (già San Francesco Saverio) a Mondovì (1676-77, ma già con dei primi sopralluoghi nel 1674), culminante con la Gloria di San Francesco Saverio.
A Trento, presso il castello del Buonconsiglio, è conservato il bozzetto di San Francesco Saverio che battezza la principessa Neachile.
Tra il 1677 e il 1680, a Torino, nella chiesa dei Santi Martiri dipinse, sulla volta, Sant’Ignazio in gloria, affresco ora perduto, e, sulla controfacciata, degli Angeli musicanti. Sempre a Torino, nel 1678, dipinse la pala con la Crocifissione e santi per la chiesa di San Lorenzo.
Nel 1679 realizzò la pala della Sacra Famiglia e angeli in concerto, per la cappella della sagrestia della chiesa di San Fedele a Milano, ora in una collezione privata torinese. Nello stesso anno eseguì anche l’intera decorazione, ora perduta, con Sant’Ignazio in gloria. Risale agli stessi anni anche la pala con Sant’ Ignazio che accoglie San Francesco Borgia per la chiesa di Santo Stefano a Sanremo.
Tra il 1662 e il 1681, l’attività architettonica di Andrea Pozzo fu limitata perlopiù a interventi di carattere effimero o, come nel caso di Mondovì, ad adattamenti di strutture preesistenti mirati a una più imponente illusione prospettica evocata dalle decorazioni pittoriche.
L’artista sviluppò un’inedita sensibilità per la visione unitaria dello spazio, puntando sulla spettacolarità del repertorio formale e sull’effetto totalizzante di un’audace policromia. Tra il 1671 e il 1672, a Milano, realizzò, in particolare, tre apparati effimeri: l’apparato per la canonizzazione di Francesco Borgia a San Fedele, quello funebre per Felícia Henríquez de Sandoval y Uceda duchessa di Ossuna, consorte del governatore spagnolo, a S. Maria della Scala, e la macchina del voto dell’Immacolata in San Fedele. Un altro apparato effimero fu realizzato per i gesuiti di Genova.
Prima di partire per Roma, dipinse i quadri per la cappella Odescalchi nella chiesa di San Giovanni Pedemonte a Como (1680-81).
Giovanni Paolo Oliva, di raffinato gusto artistico e al quale già Pozzo inviò nel 1679 la Maddalena e S. Giovanni Crisostomo (Palazzi Vaticani), ammirati anche da Carlo Maratti, pensava di affidargli la soluzione per una nuova entrata, riservata e dignitosa, alle camerette in cui visse e morì Sant’Ignazio di Loyola nella Casa professa. Il 26 novembre 1681, dopo la morte improvvisa di Oliva, a ridosso dell’arrivo di Pozzo, il successore, Charles de Noyelle, gli confermò l’incarico del Corridoio.
Dalla metà del 1682 all’inizio del 1685 Pozzo trasformò il disadorno spazio di passaggio in una sontuosa galleria, decorandola con scene esaltanti la santità di Ignazio inserite in un apparato scenografico e prospettico illusorio. Applicò le difficili regole dell’anamorfosi, secondo le quali la corretta visione delle immagini può verificarsi solo grazie all’inserimento al centro del pavimento di un unico punto di osservazione.
Nel suo primo soggiorno romano, affrescò, rifacendosi ad alcune scene del Corridoio, la cappella della Vigna di Santa Balbina, dove Sant’Ignazio trascorse gli ultimi giorni della sua vita. Nel 1684 dipinse la Madonna con il Bambino e santi per la collegiata di Santa Maria del Bosco a Cuneo, e nel 1685 San Francesco d’Assisi che adora il crocifisso, per il principe Giovan Battista Pamphilj, nella collegiata dell’Assunta a Valmontone. Entrambi i bozzetti si conservano nella sagrestia della chiesa di Sant’Ignazio.
Dal 1685 intraprese, nella chiesa di S. Ignazio del Collegio romano, la sua committenza più prestigiosa in campo pittorico. Iniziò con l’idea originale della finta cupola, dipinta in modo fortemente verosimile grazie a dei complessi calcoli prospettici.
Nonostante le iniziali critiche, la monumentale tela con la cupola dipinta con illusione prospettica riscosse grande ammirazione e stima anche dagli accademici.
Proseguì, entro il 1691 circa, con gli affreschi per il catino absidale, raffiguranti Il potere taumaturgico di Sant’Ignazio, e con L’assedio di Pamplona e la Conversione di Sant’Ignazio per l’imbotte della calotta.
Fino al 1694 si dedicò alla maestosa volta, tra le più ambiziose del barocco europeo, riproducente l’Allegoria dell’opera missionaria della Compagnia di Gesù. La struttura architettonica è dipinta in modo illusionistico, intesa come un luogo celeste che si apre verso spazi infiniti; santi e gruppi di figure simboliche danno corpo a un’iconologia complessa, spiegata da Pozzo stesso in una lettera al principe Antonio Floriano di Liechtenstein.
Il fulcro è costituito da un rimando ottico di raggi divini che da Cristo toccano Sant’Ignazio e raggiungono le allegorie delle quattro parti del mondo a significare il percorso dell’apostolato gesuitico.
Anche qui Pozzo applicò un unico punto di vista, nonostante l’ampiezza della volta, perché l’inganno visivo – la vacuità della vita – si supera solo riuscendo a «tirar sempre tutte le linee […] al vero punto dell’occhio che è la gloria divina».
Fece infine i quattro peducci. Si occupò poi dei lavori per l’abside, affrescandovi, sempre con l’aiuto dei suoi allievi, tre grandi pale con sontuose cornici:
- Sant’Ignazio invia s. Francesco Saverio nelle Indie;
- La Visione della storta;
- Sant’Ignazio accoglie nella Compagnia San Francesco Borgia.
Lavorò molto nelle sedi della Compagnia di Gesù, concentrandosi sulla rielaborazione dell’iconografia gesuitica e in particolare sul tema della santità da realizzare nelle pitture e negli altari scolpiti.
Accettò anche incarichi non gesuitici: nel 1689 circa inviò a Torino una tela per l’oratorio della Compagnia di S. Paolo, ora perduta. Nel 1694 dipinse il refettorio del convento dei Minimi di Trinità dei Monti: sulla volta la Trinità e la Gloria di San Francesco di Paola e di San Francesco di Sales e delle scene monocrome simili a quelle nel Corridoio; nelle pareti le Nozze di Cana con un’ariosa architettura costituita da un loggiato con arcate dove si snoda il banchetto.
Pozzo, a eccezione di alcune figure di sua propria mano, come quelle del miracolo del vino compiuto da Gesù, lasciò al suo collaboratore più stretto Antonio Colli e ad altri le scene rimanenti con i vari personaggi. Tra il 1694 e il 1703 dipinse, in collaborazione con alcuni allievi, cinque tele con scene della vita di Gesù per la cappella dei Banchieri e Mercanti a Torino.
Sullo scorcio del secolo compì una serie di pitture per la chiesa del Gesù a Frascati: nella cappella maggiore un finto altare prospettico con la Circoncisione, nel braccio sinistro del transetto Sant’Ignazio che accoglie San Francesco Borgia e in quello destro il Martirio di San Sebastiano; infine dipinse una finta cupola al centro del transetto. Ad Antonio Colli si devono, invece, lungo le pareti della chiesa scene con la vita di Gesù e alcune pitture nelle cappelle laterali. Nel 1700, nel refettorio del Collegio inglese dipinse La cena a casa del fariseo.
Pozzo fu anche un valente ritrattista, come si nota nel quadro raffigurante il musicista Bernardo Pasquini (Firenze, Conservatorio di musica Luigi Cherubini). Realizzò anche un autoritratto per la galleria del granduca di Toscana (Firenze, Galleria degli Uffizi), dove sul fondo si vede l’interno della chiesa di S. Ignazio ancora privo dei suoi affreschi. Una replica si trova nella chiesa del Gesù a Roma. Un intenso primo piano giovanile si conserva a Firenze (palazzo Pitti); si raffigurò anche in età avanzata seduto davanti al cavalletto (Trento, Castello del Buonconsiglio; il disegno preparatorio si trova nel Kunstmuseum di Düsseldorf, inv. n. FP.1980).
Tra gli incarichi di maggior prestigio, spicca quello per realizzare, nel transetto sinistro della chiesa del Gesù a Roma, un sontuoso altare contenente l’urna con le sacre spoglie di s. Ignazio di Loyola.
Nel 1697 iniziarono i lavori per l’altare di S. Luigi Gonzaga, nella chiesa di Sant’ Ignazio a Roma. La sua struttura, leggermente concava e plasticamente articolata in quattro colonne tortili e frontespizi mistilinei spezzati, avrebbe riscontrato una notevole fortuna internazionale; esempi derivati dal suo disegno – pubblicato, come pure alcuni progetti preparatori, nel trattato di Pozzo – sono riscontrabili in tutto il mondo. Un’ulteriore versione non realizzata è nota grazie a un modello ligneo originale (Roma, Museo nazionale di Castel S. Angelo).
Tra il 1701 e il 1702 riavviò a Montepulciano il cantiere al Gesù, un edificio su pianta ovale, già iniziato sulla base di un progetto di Origoni, considerato troppo dispendioso; successivamente, intraprese la decorazione pittorica del salone di palazzo Contucci, dove l’aiuto pittore Antonio Colli concluse i lavori. Nel 1702 Pozzo realizzò l’altare della collegiata di Lucignano e dipinse le pale con S. Francesco Saverio nelle chiese gesuitiche di San Sepolcro e di Arezzo. Ad Arezzo dipinse la finta cupola nella chiesa delle Sante Flora e Lucilla.
Le finte cupole conobbero un sì grande riscontro da divenire in breve tempo l’idea prospettica maggiormente diffusa di Pozzo, la sua più emblematica eredità nella pittura illusionistica. Il loro successo fu eguagliato soltanto dalla fortuna degli altari, reali o dipinti, che, grazie alle relative riproduzioni nel trattato, si affermarono come modelli esplicitamente gesuitici in tutta Europa, nonché nelle terre di missione dalla Cina alle Americhe.
Nel 1702, su invito dell’imperatore Leopoldo I d’Asburgo, si recò a Vienna, dove avrebbe vissuto fino alla morte. Lasciò Roma passando per Firenze e Trento. A Vienna ebbe l’incarico di affrescare l’interno della Peterskirche, tempio di un’arciconfraternita fondata dallo stesso sovrano; alcuni temporeggiamenti attardarono però il compimento della costruzione, e il suo contributo si limitò a qualche minore intervento iniziale, in seguito rimosso. L’opera più significativa del periodo viennese fu il radicale rifacimento interno della chiesa del Collegio gesuitico, oggi Universitätskirche (1703-09).
L’intervento, sia architettonico che pittorico, si basa su un avvincente uso di accenti plastici, cromatici e scenografici, nonché su un concetto illusionistico che mette in gioco la stessa tipologia dell’edificio: una finta cupola affrescata nel centro della volta a botte sembra ingannevolmente annullare l’effettivo orientamento longitudinale dello spazio.
Il ciclo pittorico – un trionfo della fede espresso in chiave mariana e angelica e basato su diversi motti salmodici – si sviluppa su complessivi sei scompartimenti della navata e del presbiterio e preludia all’Assunzione della Vergine raffigurata nella pala dell’altare maggiore.
In diverse chiese di Vienna, su suo disegno, furono eretti altari: strutture a baldacchino più o meno spettacolari, ma eseguite con materiali piuttosto poveri o addirittura con tecniche affini alle macchine effimere.
Fu il caso degli altari, scomparsi, nella chiesa dei Trinitari (Alserkirche), in quella dei Fatebenefratelli (Kirche der Barmherzigen Brüder) nel quartiere Leopoldstadt, nella cappella del castello di Schönbrunn, e dell’altare, tuttora esistente, della Franziskanerkirche, eseguito tra il 1706 e il 1707 (Pascoli, 1981, p. 201). Anche la chiesa am Hof, tempio della Casa professa dei gesuiti, possedeva un capolavoro dell’altaristica pozziana: sopravvive un piccolo frammento della pala d’altare, ma il suo aspetto d’insieme ci è noto tramite un disegno di Salomon Kleiner (Austin, Blanton Museum of art, Suida-Manning Collection).
Un’ulteriore testimonianza grafica rende edotti sul più rilevante intervento effimero realizzato da Andrea Pozzo a Vienna: l’apparato funebre (1705) per Leopoldo I nella chiesa del Collegio dei gesuiti (Universitätskirche).
Accanto alla corte imperiale e agli stessi gesuiti fu il principe Johann Adam Andreas von Liechtenstein a distinguersi come il maggiore committente viennese dell’artista. Nella sua villa suburbana (Gartenpalais Liechtenstein in der Rossau) Pozzo affrescò la volta del salone (1704-08): un Trionfo di Ercole raffigurato come una visione celestiale incorniciata da prospettive architettoniche. Allo stesso principe fornì, inoltre, progetti per le parrocchiali di Lichtenthal a Vienna (Brno, Moravská galerie, Dipartimento dei disegni e delle stampe, inv. n. B.14793) e di Pozořice in Moravia (Rizzi, 1993, pp. 224 s.).
Negli ultimi anni di vita Pozzo era intenzionato a tornare in Italia, dove l’avrebbero atteso importanti impegni: a Venezia, come progettista e pittore al servizio della nuova chiesa dei gesuiti, e a Roma, dove papa Clemente XI avrebbe voluto incaricarlo di affrescare l’interno di S. Maria degli Angeli.
Morì il 31 agosto 1709 a Vienna e fu sepolto con grandi onori nei sotterranei della chiesa della Casa professa.
Tra i numerosi suoi seguaci, si ricordano i pittori Giuseppe Barberi, Carlo Gaudenzio Mignocchi, Kasper Bażanka, Christoph Tausch e Johann Hiebel.
Opere di Andrea Pozzo
Decorazione interna e altare maggiore nella chiesa di San Francesco Saverio, Mondovì, 1676-1678,
affresco di altare con musici seduti nel corridoio delle statue di Sant’Ignazio nella Casa professa dei Gesuiti, Roma, 1682-1686,
sistematizzazione e decorazioni della cupola prospettica (1684), dell’abside (1688), e della navata (1691-1694), chiesa di Sant’Ignazio, Roma,
altare di Sant’Ignazio, transetto sinistro, chiesa del Gesù, Roma, 1695-1699,
altare maggiore del santuario della Madonna delle Grazie ad Arco, 1697-1710,
progetti per la facciata di San Giovanni in Laterano, 1699,
altare di San Luigi Gonzaga, transetto destro, chiesa di Sant’Ignazio, Roma, 1697-1699,
decorazioni dell’abside e altari nella chiesa del Gesù, Frascati, 1699-1701,
chiesa dei gesuiti, Montepulciano, 1702-1703,
affreschi nel salone di palazzo Cantucci, Montepulciano, 1702-1703,
altare maggiore, chiesa di San Michele Arcangelo, Lucignano, Arezzo, 1702-1704,
chiesa di Sant’Ignazio, Ragusa, dal 1699,
chiesa di Santa Maria Maggiore, Trieste, 1699-1701 circa,
chiesa di San Nicola, Lubiana, 1701-1705,
collegio dei Gesuiti, Belluno, 1704-1714,
chiesa di San Francesco Saverio, Trento, 1708-1711,
altare maggiore della Franziskanerkirche, Vienna, 1706,
rinnovamento della Universitaskirche, Vienna, 1707-1709,
altare maggiore della chiesa della casa professa, 1708 circa, opera distrutta, già a Vienna,
altare maggiore della Kirche am Hof, 1709, opera distrutta, già a Vienna.
Opere di Andrea Pozzo
Cristo nell’orto degli ulivi confortato da angeli
Datazione: 1675 circa,
misure: cm 49 x 76,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Museo Diocesano Tridentino, Trento,
provenienza: Palazzo Arcivescovile, Trento.
Gloria di Sant’Ignazio.
Questa piccola tela è il modello di un dipinto di maggiori dimensioni conservato nella chiesa di San Francesco di Paola a Milano.
Opera contrassegnata da un forte pathos, rivela un sapiente uso teatrale delle luci, studiate appositamente per creare dei contrasti chiaroscurali potenti e drammatici.
La composizione dell’opera, frutto di un’accurata elaborazione, risulta impostata con un dinamico assetto spaziale, di grande effetto scenografico.
Fu più volte replicata da Andrea Pozzo, che realizzava diversi modelli di una stessa opera.
Gloria di Sant’Ignazio
Datazione: 1691-1694,
misure: cm 365×147,
tecnica: affresco, collocazione: chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, volta della navata, Roma.

L’affresco della Gloria di Sant’Ignazio fu dipinto nel 1685, da Andrea Pozzo, per la chiesa di Sant’Ignazio di Loyola a Roma.
Al centro dell’opera è raffigurato il fondatore della compagnia del Gesù, Sant’Ignazio di Loyola che è descritto con una luce mistica che si irradia verso gli altri gesuiti.
Da questi, poi, la luce raggiunge i quattro continenti conosciuti al tempo mostrati a coppie sui lati lunghi dell’affresco. L’Europa è rappresentata come una regina a cavallo che domina il globo azzurro. In senso orario, poi, l’America è raffigurata come un’indiana, con un panno a forma di gonnellino e una corona di piume rosse e azzurre. Viene, quindi, l’Africa, di colore scuro e, infine, l’Asia a cavallo di un cammello.
Sant’Ignazio è in alto, al centro su una grande nuvola chiara con intorno molte figure che aleggiano. Davanti a lui si trova Cristo con in braccio una pesante croce. Dalle loro figure l’immagine si allontana, in alto, con un volo di altri personaggi che si rimpiccioliscono progressivamente e si smarriscono nella lontananza.
L’affresco prosegue le architetture reali dell’ambiente sottostante. Infatti, grazie all’uso della prospettiva geometrica, osservando dal basso, si possono osservare colonne, pareti, archi e pilastri, tra i quali si librano i personaggi dipinti.
Come in molti altri affreschi illusionistici del Barocco, anche in questo affresco lo spazio reale e quello dipinto si confondono: le architetture dipinte fanno da collegamento con l’ambiente divino nel quale si compie il fatto religioso tra nuvole e cielo.
L’illuminazione proviene dall’alto e la fonte luminosa coincide con il punto di fuga prospettico, in modo tale da unificare lo spazio architettonico con la superficie pittorica. Inoltre, la luce ha una funzione altamente simbolica, rappresentando la gloria divina.
I colori sono vivi e saturi, i toni sono distribuiti in modo equilibrato: le architetture sono tendenti al grigio e ocra mentre il cielo e le nuvole creano uno sfondo indaco, dorato al centro.
Proseguendo nella navata centrale, verso l’altare, si arriva a un tondo dorato nel marmo pavimentale da dove, alzando lo sguardo, si può ammirare una cupola di ben 13 metri di diametro.
La cupola che in realtà è finta: infatti il soffitto è piatto e al di sopra è stato applicato un dipinto prospettico su tela: si tratta soltanto di un’illusione ottica tridimensionale. Se ci si sposta lateralmente da quel tondo sul pavimento, la cupola assume tutt’altra prospettiva e perde completamente di significato.
Questo ingegnoso espediente fu ideato da Andrea Pozzo perché nel 1685, quando la chiesa era quasi terminata, mancava il denaro per realizzare la costruzione della cupola. Si dice pure che siano stati gli stessi abitanti del quartiere Campo Marzio a non volerne la costruzione perché ne avrebbe oscurato il sole.
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