Francesco Borromini, figlio dell’architetto Domenico Castelli, nacque a Bissone, il 27 settembre 1599, nel Canton Ticino. Iniziò a lavorare come scalpellino e fu attivo nel cantiere del duomo di Milano.
Intorno al secondo decennio del Seicento, Francesco Borromini si trasferì a Roma dove si firmava col cognome che tuttora conosciamo probabilmente per distinguersi dai numerosi artisti di cognome Castelli attivi a Roma in quel periodo.
A Roma, Francesco Borromini fu ospitato da un parente prossimo per via di madre, Leone di Tommaso Garvo (Garovo). Aveva una casa nei dintorni della basilica di San Giovanni dei Fiorentini, nel vicolo dell’Agnello e per un breve periodo Borromini collaborò con lui. Purtroppo, ben presto, il 12 agosto 1620, Leone di Tommaso Garvo morì, precipitando dalle impalcature della basilica di San Pietro in Vaticano.
Borromini iniziò allora a lavorare con un altro suo parente, l’architetto Carlo Maderno e fu attivo, in particolar modo, nella basilica di San Pietro in Vaticano: a lui si devono la realizzazione di volti di cherubini, delle inferriate delle cappelle del Coro e del Sacramento e lavori per la Porta Santa e per la base della Pietà michelangiolesca.
Sempre con Carlo Maderno, a Roma Francesco Borromini lavorò anche nella chiesa di Sant’Andrea della Valle.
Infine, grazie a Carlo Maderno, Francesco Borromini entrò in contatto con Gian Lorenzo Bernini: i tre architetti lavorarono assieme nel cantiere romano di Palazzo Barberini. In quest’edificio il contributo del Borromini è stato identificato nel progetto della scala a chiocciola, delle porte del salone e di alcune finestre.
Nel 1629, morto Carlo Maderno, i rapporti tra Borromini e Bernini non furono facili. Bernini, subentrato al posto di Carlo Maderno, come architetto della basilica di San Pietro e di Palazzo Barberini, si valse della collaborazione di Francesco Borromini.
Più tardi avvenne, però la rottura dei rapporti tra i due: probabilmente ciò avvenne durante l’ultimazione del baldacchino di San Pietro, invenzione berniniana, ma realizzata sotto la direzione di Francesco Borromini che ne curò anche alcuni dettagli quali le volute a dorso di delfino poste a coronamento dell’aereo ciborio.
Nel 1632, forse per allontanare il suo troppo bravo collaboratore, Bernini propose Borromini come architetto del Palazzo della Sapienza, all’epoca sede dell’Università di Roma: più tardi, in questo complesso architettonico, Borromini progettò la nuova cappella universitaria ovvero la chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza e risistemò la Biblioteca Alessandrina.
Tra il 1634 e il 1641, su commissione dei trinitari scalzi spagnoli, Borromini si occupò della realizzazione della chiesa e del monastero di San Carlo alle Quattro Fontane: la chiesa è nota anche come San Carlino per le sue ridotte dimensioni. Sempre a interventi del Borromini risalgono inoltre l’adiacente piccolo chiostro e la cripta sottostante.
Nel dicembre del 1636, Francesco Borromini accettò l’incarico di lavorare per la realizzazione dell’oratorio e della casa dei Filippini: affiancato inizialmente dall’architetto Paolo Maruscelli che successivamente rinunciò, Borromini portò avanti da solo l’opera tra il 1637 e il 1644, completando l’oratorio, la facciata, la biblioteca e l’allestimento delle stanze di San Filippo.
Nel 1638 Borromini progettò due case su via Larga di fronte al palazzo di Monsignor Cerri, poi demolite.
Nel 1647 Borromini fu nuovamente chiamato a lavorare per il complesso dei Filippini dove realizzò la torre dell’Orologio. I lavori dell’ala verso Monte Giordano furono poi portati a termine dall’architetto Camillo Arcucci chiamato nel 1652, in sostituzione del Borromini.
In questi anni e, precisamente, tra il 1638 e il 1643, Borromini eseguì alcuni lavori nel convento di Santa Lucia in Selci, dove nell’annessa chiesa realizzò l’altare Landi, la cantoria e varie decorazioni.
Tra il 1638 e il 1639, Borromini si occupò inoltre della trasformazione di Palazzo Carpegna, attuale sede dell’Accademia di San Luca. I lavori si protrassero fino al 1649: Borromini realizzò la rampa ellittica e il portico interno che ad essa conduce. I relativi disegni progettuali sono attualmente conservati nella Biblioteca Albertina, a Vienna.
Tra il 1639 e il 1641, Borromini realizzò il Casino Barberini, da destinare a romitorio per il cardinale Antonio il vecchio a Monte Mario, poi andato distrutto.
Nel 1642 realizzò invece il Monumento Merlini nella basilica di Santa Maria Maggiore.
Nel 1642 gli venne affidato l’incarico per la realizzazione del monastero e della chiesa di Santa Maria dei Sette Dolori a Trastevere, opera lasciata poi incompiuta e alla quale intervennero anche altri architetti.
Tra il 1644 e il 1645 Borromini realizzò la Cappella Carpegna nella basilica di Sant’Anastasia al Palatino.
Successivamente, tra il 1645 e il 1650, eseguì alcuni lavori a Palazzo Pamphilj a Piazza Navona: le decorazioni della Galleria Grande e la finestra a serliana della stessa verso Piazza Navona, la copertura della grande sala tra i due cortili e una scalinata a spirale.
Tra il 1646 e il 1649, Borromini si occupò della decorazione e dell’ampliamento di Palazzo Falconieri a via Giulia.
Tra il 1646 e il 1657, Borromini fu impegnato nella risistemazione urbanistica del borgo di San Martino al Cimino, attuale frazione del Comune di Viterbo, all’epoca di proprietà di Donna Olimpia Maidalchini, cognata di Papa Innocenzo X Pamphilj: opere sicuramente ascrivibili al Borromini, sono la porta d’ingresso del borgo, rivolta verso Viterbo e il progetto dei campanili che fiancheggiano la facciata della chiesa dell’abbazia.
Successivamente, a Roma, progettò la villa Pamphilj a San Pancrazio e tra il 1646 e il 1650 restaurò la basilica di San Giovanni in Laterano: questi lavori terminati per il Giubileo del 1650, consentirono la conservazione della struttura preesistente che fu inserita in un nuovo apparato decorativo.
Nel 1647 Borromini realizzò l’atrio e la scalinata del Palazzo di Spagna e nel 1650 la targa del monumento Ceva, nell’oratorio di San Venanzio nel Battistero Lateranense.
A Tivoli, alla morte dell’architetto Paolo Maruscelli, Borromini gli successe e portò avanti i lavori di ampliamento del palazzo Cesi fuori porta Santa Croce, all’epoca in affitto agli Spada e successivamente demolito.
Tra il 1650 e il 1655, a Roma Borromini eseguì alcuni lavori a Palazzo Giustiniani, a via della Dogana Vecchia.
Nel 1651, a Napoli, su commissione del cardinale Francesco Barberini, si occupò invece della sistemazione del presbiterio della chiesa di Santa Maria a Cappella Nuova.
Di nuovo a Roma, Francesco Borromini portò avanti i lavori per la realizzazione della chiesa di Sant’Agnese in Agone (1653-1657), a Piazza Navona e completò la chiesa di Sant’Andrea delle Fratte (1653-1667) che era stata iniziata da Giovanni Guerra nel 1605.
A Palazzo Spada, Borromini progettò l’allargamento del cortile segreto, la colonnata prospettica (1652-1653), la scala ovale nell’ala est del giardino segreto e le stanze che si affacciano su di essa ai vari piani.
Nel 1654 avviò i lavori per l’ampliamento e completamento del Palazzo di Propaganda Fide ove realizzò la cappella dei Santi Re Magi (1661-1663).
Successivamente si occupò di interventi di restauro dell’esterno del Battistero Lateranense (1657) e della piccola chiesa di San Giovanni in Oleo (1657-1659).
Tra il 1654 e il 1657, Borromini contribuì alla realizzazione della Cappella Spada, nella chiesa di San Girolamo della Carità.
Agli anni 1659-1660 risalgono invece i progetti parzialmente realizzati per il monastero e annessa biblioteca di Sant’Agostino, opere radicalmente trasformate in epoca successiva.
Allo stesso periodo risalgono inoltre i progetti mai realizzati per la piazza antistante il monastero. Tutti i lavori documentati nei disegni conservati nella Biblioteca Albertina di Vienna.
Nel 1656 Borromini portò avanti i lavori della Cappella Falconieri nella Basilica di San Giovanni dei Fiorentini, opera già iniziata da Pietro da Cortona: agli interventi borrominiani risalgono l’altare, i monumenti ai lati del presbiterio e la cappella sotterranea.
Gli ultimi anni di Francesco Borromini furono segnati dalla malattia e la sua vita si concluse tragicamente: in un impeto d’ira si uccise con la spada, a seguito del rifiuto da parte del servo di accendergli il lume, perché non si affaticasse.
Poi ristabilitosi, riuscì a completare il proprio testamento, ricevette i sacramenti della Chiesa e morì il 3 agosto del 1667.
Opere di Francesco Borromini
Lavori eseguiti come scultore, 1623-1634, Palazzo del Monte di Pietà, Roma,
Lavori eseguiti come scultore, 1624-1631, basilica di San Pietro, Stato della Città del Vaticano,
Fontana delle api in Vaticano, opera in marmo scolpita da Francesco Borromini, su progetto di Gian Lorenzo Bernini, 1625-1626, via del Pellegrino, Stato della Città del Vaticano,
Finestre di lato alla loggia centrale della facciata principale, porte del salone e scala ellittica, 1627-1632, Palazzo Barberini, Roma,
Chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane (San Carlino) e monastero dei Padri Trinitari, 1634-1641, Roma,
Altare Filomarino dedicato alla Santissima Annunziata, 1635-1647, chiesa dei Santi Apostoli, Napoli,
Progetto per la cappella familiare del marchese di Castel Rodrigo nella chiesa di Sao Bento, 1636-1640, Lisbona, con Duquesnoy,
Oratorio e casa dei Filippini, 1637-1650, Roma,
Altare Landi, cantoria e altri lavori di decorazione, 1638-1643, chiesa di Santa Lucia in Selci, Roma,
Trasformazione di Palazzo Carpegna, attuale sede dell’Accademia di San Luca, 1638-1649, Roma,
Chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, 1642-1645, Roma,
Monumento Merlini, 1642, basilica di Santa Maria Maggiore, Roma,
Chiesa e monastero di Santa Maria dei Sette Dolori, 1642-1649, (opera successivamente terminata da altri architetti), Roma,
Cappella Carpegna, 1644-1645, chiesa di Sant’Anastasia al Palatino, Roma,
Lavori in Palazzo Pamphilj, 1645-1650, piazza Navona, Roma,
Lavori in Palazzo Falconieri, 1646-1649, via Giulia, Roma,
Ristrutturazione urbanistica del borgo di San Martino al Cimino, attuale frazione del Comune di Viterbo, 1646-1657,
Progetto per la villa Pamphilj a San Pancrazio, Roma,
Palazzo di Propaganda Fide e cappella dei Re Magi, 1646-1665, Roma,
Lavori di restauro nella cattedrale di San Giovanni in Laterano, 1646-1650, Roma,
Trasformazione di Palazzo di Spagna, dal 1647, Roma,
Targa del monumento Ceva, 1650, oratorio di San Venanzio nel Battistero Lateranense, Roma,
Ampliamento del palazzo Cesi fuori porta Santa Croce, dal 1646/1647, Tivoli,
Trasformazione di Palazzo Giustiniani, 1650-1655, via della Dogana Vecchia, Roma,
Progetto per la sistemazione del presbiterio della chiesa di Santa Maria a Cappella Nuova, 1651, Napoli,
Realizzazione parziale della chiesa di Sant’Agnese in Agone, 1653-1657, Piazza Navona, Roma,
Completamento della chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, 1653-1665, Roma,
Palazzo Spada (precedentemente Capodiferro), 1653-1659, piazza Capo di Ferro, Roma,
Restauro dell’esterno del Battistero Lateranense, 1657, Roma,
Restauro della piccola chiesa di San Giovanni in Oleo, 1657-1659, Roma,
Cappella Spada, 1654-1657, chiesa di San Girolamo della Carità, Roma,
Cappella Falconieri, 1656-1664, opera iniziata nel 1634 da Pietro da Cortona e terminata da Carlo Fontana e Ciro Ferri, basilica di San Giovanni dei Fiorentini, Roma.
Opere di Francesco Borromini
Finestre di lato alla loggia centrale della facciata principale, porte del salone e scala elicoidale
Datazione: 1627-1632,
collocazione: Palazzo Barberini, Roma.
Palazzo Barberini a Roma fu concepito come residenza suburbana della famiglia e iniziato nel 1627, su progetto e sotto la direzione dell’architetto Carlo Maderno.
Alla sua morte, avvenuta nel 1629, gli successe Gian Lorenzo Bernini che si occupò, in particolare, della realizzazione della facciata a tre ordini di archi sovrapposti e della scala a pozzo quadrato.
Guardando la facciata, questa scala è posta a sinistra e, passando sotto il portico, consente l’ingresso al palazzo, mentre all’estremità opposta del portico, vi è un’altra scala d’accesso.
Progettata da Francesco Borromini e realizzata tra il 1633 e il 1634, questa scala è elicoidale, serviva l’ala sud del palazzo e consentiva l’accesso agli appartamenti del cardinale Francesco Barberini.
La scala è a pianta ovale e si snoda attorno a un vano ellittico: ispirata alla scala ideata dal Vignola per il Palazzo Farnese di Caprarola, mostra una struttura a colonne binate.
Dodici colonne doriche compongono ogni girata e su ogni capitello sono scolpite delle piccole api, simbolo araldico della famiglia Barberini.
L’asse maggiore misura 9,40 m, l’asse minore 7,85 m. La luce entra dall’oculo in cima e dalle finestre della facciata.
Francesco Borromini realizzò anche altre opere per Palazzo Barberini: il suo stile personale è stato notato in modo particolare, nelle finestre dell’ultimo piano del settore rientrante adiacente al centro con archi.
Il modello d’ispirazione furono le finestre progettate da Carlo Maderno, per l’attico della facciata della basilica di San Pietro in Vaticano: Borromini riprende lo schema adottato dallo zio architetto e lo rielaborò, incorniciando le finestre tra ondulate orecchie con festoni fissati ad esse.
Chiesa e monastero di San Carlo alle Quattro Fontane (San Carlino)
Datazione: 1638-1667,
collocazione: via del Quirinale 23, Roma.
Chiamata San Carlino per le sue ridotte dimensioni, la chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane è al contempo la prima e ultima opera del Borromini: fu infatti realizzata tra il 1638 e il 1667, anno del suo suicidio.
Annessa alla chiesa, è il monastero dei Padri Trinitari Scalzi Spagnoli, anch’esso edificato su progetto del Borromini, in una piccola area distante circa duecento metri da Palazzo Barberini.
Borromini realizzò prima il dormitorio, il refettorio (ora sacrestia) e i chiostri, rivelando particolare abilità nel razionale sfruttamento delle limitate possibilità offerte dal terreno piccolo e tagliato irregolarmente.
La prima pietra fu posta nel 1638 e, a eccezione della facciata, la chiesa risultava già terminata nel maggio del 1641 e fu consacrata nel 1646.
Nella chiesa sono presenti tre differenti tipi di struttura: la zona più bassa ondulata, derivata da piante tardoantiche come il salone a cupola della piazza d’oro nella Villa Adriana a Tivoli, la zona intermedia dei pennacchi che deriva dalla pianta a croce greca e la cupola ovale che, secondo la tradizione, dovrebbe ergersi su una pianta della stessa forma.
La facciata fu eretta successivamente: i lavori furono avviati nel 1665 e completati nel 1667, anno della morte del Borromini.
La facciata consiste di tre settori: sotto i due settori esterni concavi e il settore centrale convesso sono legati insieme dalla robusta, continua e ondulata trabeazione; sopra, i tre settori sono concavi e la trabeazione si svolge in tre segmenti separati.
Inoltre, il medaglione ovale sorretto da angeli e sovrastato dall’elemento a forma di cipolla annulla l’effetto del cornicione come supporto per nicchie con statue; sopra, le colonnine incorniciano nicchie e sostengono pannelli di muro conchiusi; in altre parole, le parti chiuse e aperte sono state invertite.
All’apertura della porta nel settore centrale corrisponde sopra l’elemento “sculturale” e aggettante del box ovale in cui è ripreso il movimento convesso della facciata.
Infine, invece della nicchia con la figura di San Carlo Borromeo, la fila superiore ha un medaglione staccato dal muro.
Oratorio e casa dei Filippini
Datazione: 1637-1650,
collocazione: corso Vittorio Emanuele, Roma.
In un primo tempo, nel dicembre del 1636, nell’edificazione dell’oratorio e casa dei Filippini, Francesco Borromini fu affiancato a Paolo Maruscelli, il quale successivamente rinunciò all’incarico.
I lavori cominciarono nel 1637 e continuarono fino al 1644 con il completamento dell’oratorio, della facciata, della biblioteca e dell’allestimento delle stanze di San Filippo, iniziato da Paolo Maruscelli.
Nella costruzione della casa dei Filippini riprende e sviluppa i modelli già adottati per la chiesa di San Carlino: in particolare, l’oratorio dei Filippini sviluppa un tema già affrontato nella sacrestia originale della chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane.
Vi ritroviamo infatti un vano a matrice rettangolare coperto da una volta ottagonale in virtù dei quattro smussi angolari sorretti da un motivo decorativo angolare.
Per l’oratorio, di ben maggiori dimensioni, gli smussi sono presenti invece fin dalla base.
La facciata principale, rivolta un tempo verso un misurato slargo triangolare, è suddivisa in cinque settori disposti su pianta concava; vivace è il gioco dialettico tra la parte centrale del primo ordine, curva verso l’esterno, e la profondità della nicchia con catino a finti cassettoni dell’ordine superiore.
La forma del timpano, realizzato per la prima volta con una sagoma mistilinea, genera un movimento curvilineo e angolare.
La facciata, realizzata in mattoni come richiesto dalla congregazione, permise a Borromini, particolarmente propenso all’uso di materiali semplici quali lo stucco e l’intonaco, di realizzare la sua rivalutazione integrale della tecnica.
Da notare la pulizia degli intagli delle forme, degli spigoli affilati, dei risalti plastici. Borromini riduce i valori di profondità ed esalta l’intera struttura.
Chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza

Datazione: 1642-1666,
collocazione: corso Rinascimento, Roma.
Situata all’interno del Palazzo della Sapienza, storica sede dell’Università di Roma, la chiesa di Sant’Ivo della Sapienza fu edificata tra il 1642 e il 1666, come cappella universitaria, su progetto di Francesco Borromini.
Voluta da Papa Urbano VIII Barberini, questa chiesa presenta vari riferimenti all’ape, emblema araldico della famiglia del Pontefice: la ritroviamo infatti nelle allusioni della pianta, negli spicchi della volta e nella cuspide concepita come un pungiglione.
La chiesa fu intitolata a Sant’Ivo perché gli avvocati concistoriali che avevano patrocinato la costruzione, vollero che fosse dedicata al loro santo protettore.
Il luogo di culto fu chiuso nel 1870, divenendo un magazzino della Biblioteca Alessandrina, poi nel 1926 fu restaurato, riconsacrato e riaperto al pubblico.
Nei nicchioni interni della chiesa erano collocate le statue dei dodici apostoli, non belle in verità e soprannominate dai romani, “i babuini”: furono abbattute nel Settecento.
Chiesa e monastero di Santa Maria dei Sette Dolori
Datazione: 1642-1649, (opera successivamente terminata da altri architetti),
collocazione: via Garibaldi, Roma.
Situato ai margini del rione romano di Trastevere, in una zona silenziosa verso il Gianicolo e oggi adibito in gran parte a hotel di lusso, il complesso della chiesa e monastero di Santa Maria dei Sette Dolori è un’opera incompiuta di Francesco Borromini.
La chiesa tuttora in uso è un piccolo edificio, perfettamente inserito all’interno del monastero, ma con un suo ingresso indipendente.
L’esterno non presenta particolari decorazioni, ma a eccezione dei portali in pietra, è tutto costituito da semplici mattoni in pietra dove l’impronta borrominiana è conferita dal forte dinamismo delle forme concave e convesse.
L’interno della chiesa, fortemente rimaneggiato e alterato da restauri otto-novecenteschi, presenta ancora l’impianto ideato dal Borromini e costituito da un’imponente sequenza di colonne sistemate per triadi tra gli intervalli più grandi delle due assi principali; queste sono collegate da archi che partono dal cornicione ininterrotto.
Modelli antichi sono riscontrabili in quest’architettura e in particolare si notano riferimenti al Canopo di Villa Adriana a Tivoli.
Lavori di restauro nella cattedrale di San Giovanni in Laterano
Datazione: 1646-1650,
collocazione: Piazza di San Giovanni in Laterano 4, Roma.
Durante il pontificato di Papa Innocenzo X si rece necessario un restauro della basilica di San Giovanni in Laterano perché l’antico edificio rischiava di crollare: i lavori furono quindi affidati a Francesco Borromini che li iniziò nel maggio del 1646 e li terminò nell’ottobre del 1649, appena in tempo per il Giubileo del 1650.
Il Papa desiderava che fosse restaurata l’antica basilica, ma allo stesso tempo voleva che fosse conservata l’antica struttura: fu così allora che Borromini decise di risolvere il problema incassando due colonne consecutive della chiesa in un ampio pilastro, contornando ogni pilastro con un colossale ordine di pilastri per tutta l’altezza della navata e collocando una nicchia tabernacolo di marmo colorato per statue sulla facciata di ogni pilastro dove in origine c’era un’apertura tra due colonne.
L’alternarsi di pilastri e di archi coperti creò un ritmo base ben noto fin dai tempi del Bramante e persino dell’Alberti. Borromini lo proseguì, però, non solo attraverso gli angoli del muro di entrata, trasformando così la navata in uno spazio chiuso, ma introdusse un altro ritmo che capovolge il primo.
Lo spettatore vede contemporaneamente la sequenza continua degli alti vani dei pilastri e degli archi bassi (A b A b A…) come pure quella dei tabernacoli bassi e degli archi alti (a B a B a…).
Inoltre, questo secondo ritmo ha un’importante qualità cromatica e spaziale, perché gli archi color crema “aperture” del muro, sono contrastati dai tabernacoli di colore scuro, che interrompono il piano del muro e sporgono nella navata.
Borromini aveva inoltre intenzione di coprire la navata centrale a volta: la conservazione del pesante soffitto ligneo di Daniele da Volterra (1564-1572) doveva essere provvisoria, ma dopo l’Anno Santo del 1650, si decise di lasciare la copertura cinquecentesca perché la sua sostituzione sarebbe stata un’impresa costosa.
Particolare cura fu prestata da Borromini alla decorazione interna: frutto di un suo progetto sono infatti i naturalistici rami di palma nei pannelli incavati dei pilastri delle navate, il vivace ornamento floreale delle cornici ovali, i putti e i cherubini scolpiti nelle navate laterali.
Collegio di Propaganda Fide e chiesa dei Santi Re Magi
Datazione: 1646-1662,
collocazione: via di Propaganda, Roma.
Commissionato dai gesuiti nel 1646, il palazzo del Collegio di Propaganda Fide fu terminato soltanto nel 1662, con la realizzazione di una facciata che riprende il modello dell’oratorio dei filippini.
Parallela all’asse longitudinale della chiesa interna dedicata a Gesù adorato dai Re Magi (popolarmente conosciuta come chiesa dei Santi Re Magi), la facciata del Palazzo di Propaganda Fide è un’opera di Francesco Borromini nel quale prosegue l’approfondimento dei temi spaziali tenendo conto della collocazione urbanistica dell’edificio situato nei dintorni di Piazza di Spagna.
La stretta via di Propaganda Fide conferisce infatti un tono drammatico al forte plasticismo della facciata impostata su un ordine imponente di paraste che si elevano da terra fino al cornicione aggettante.
La parte centrale vede un brusco arretramento concavo la cui profondità è sottolineata dalla suggestiva intensificazione della zona d’ombra.
Inoltre, fantasia e variazioni di un tema geometrico guidano la ricca e ritmata successione delle finestre del piano inferiore e del piano nobile.
La chiesa situata all’interno, anch’essa opera del Borromini, fu realizzata in due anni, iniziata nel 1662, nel 1664 era già completata a eccezione della decorazione: l’articolazione dell’edificio consiste in un ordine grande e piccolo derivato dai palazzi capitolini.
I grandi pilastri accentuano la divisione del perimetro della chiesa in intercolumni alternati larghi e stretti, mentre il cornicione dell’ordine grande e la trabeazione dell’ordine piccolo su cui poggiano le finestre fungono da elementi unificatori dell’intero spazio orizzontale.
Realizzazione parziale della chiesa di Sant’Agnese in Agone
Datazione: 1653-1657,
collocazione: Piazza Navona, Roma.
La struttura più antica di questa chiesa risale al secolo VIII e ha le sue fondamenta sul lupanare, luogo del martirio di Sant’Agnese: nei sotterranei della chiesa è infatti conservata la cella dello stadio di Domiziano dove fu edificata poi una cappella con un rilievo in marmo di Alessandro Algardi del 1653 che raffigura Sant’Agnese trascinata al martirio con i capelli che coprono la sua nudità.
La chiesa fu infatti completamente ricostruita sotto Papa Innocenzo X e concepita come grande cappella di famiglia dei Pamphilj che ne è tuttora proprietaria e il cui palazzo è unito a esso sulla sinistra.
La chiesa fu costruita su un progetto iniziale di Girolamo e Carlo Rainaldi che vi lavorarono nel 1652, ma fu terminata nel 1657, dall’architetto Francesco Borromini, al quale si devono la facciata concava, la cupola e i campanili.
All’interno sono collocati sette altari, posti rispettivamente nelle quattro nicchie ricavate nei piloni della cripta e in tre bracci della crociera, sormontati da rilievi marmorei di grande effetto spettacolare per il virtuosismo teatrale che anima le figure:
- Morte di Sant’Alessio di G. F. Rossi
- Sant’Agnese tra le fiamme e Martirio di Sant’Emerenziana di Ercole Ferrata
- Sacra Famiglia e angeli di Domenico Guidi
- Martirio di Santa Cecilia di Antonio Raggi
- San Sebastiano di Pietro Paolo Campi
- Sant’Eustachio tra le belve di Melchiorre Caffà ed Ercole Ferrata
Sopra l’ingresso è invece il monumento funerario di Papa Innocenzo X Pamphilj, realizzato nel 1730 dallo scultore Giovanni Battista Maini: è in realtà un cenotafio in quanto la tomba del pontefice è in una cripta della chiesa dove sono sepolti anche altri membri della famiglia Pamphilj.
L’interno della cupola è invece decorato con il grande affresco della Gloria del Paradiso, iniziato da Ciro Ferri e portato a termine nel 1689, dal suo allievo Sebastiano Corbellini.
Completamento della chiesa di Sant’Andrea delle Fratte
Datazione: 1653-1665,
collocazione: via di Sant’Andrea delle Fratte 1, Roma.
Di origine medievale e ricordata già nel XII secolo, la chiesa di Sant’Andrea delle Fratte appartenne agli Scozzesi e fu conosciuta inizialmente come Sant’Andrea de hortis e poi de Fracta, quindi “delle Fratte”.
Nel 1585 Papa Sisto V la affidò ai Padri Minimi di San Francesco di Paola e il marchese Paolo del Bufalo, che aveva il palazzo nelle vicinanze, la fece ricostruire: i lavori furono avviati tra il 1604 e il 1612, con l’architetto Gaspare Guerra, autore dell’impostazione generale e della facciata, furono proseguiti dal 1653 fino alla sua morte, da Francesco Borromini che realizzò l’abside, il tamburo della cupola e il campanile e la conclusione dei lavori avvenne nel 1691, con l’architetto Mattia De Rossi.
La facciata fu invece completata soltanto nel 1826, dall’architetto Pasquale Belli, accademico di San Luca, con un finanziamento del cardinale Ercole Consalvi.
Il campanile, opera del Borromini, è a pianta quadrata con due ordini prismatici, ai quali seguono uno cilindrico e uno ondulato, culmina in un coronamento in forma di erme-cherubini e quindi con volute a sostegno di una croce diagonale (insegna di Sant’Andrea) e di un bufalo (stemma della famiglia committente), sormontate da una corona a punta.
Questo splendido campanile è, soggetto a un curioso fenomeno, che può osservarsi bene dalla sommità di via Capo le Case: quando suonano le campane, oscilla. Per questo i romani lo hanno soprannominato “ballerino”.
Palazzo Spada (precedentemente Capodiferro)

Datazione: 1653-1659,
collocazione: piazza Capo di Ferro, Roma.
Palazzo Spada fu edificato nel 1540, per il cardinale Giulio Capodiferro, su progetto di Giulio Merisi da Caravaggio e con la decorazione cinquecentesca di Giulio Mazzoni presente tuttora nella facciata ricca di statue, medaglioni e targhe.
Nel 1632 il palazzo passò al cardinale Bernardino Spada (1594-1661) che fece ristrutturare l’edificio agli architetti Paolo Marucelli, Vincenzo della Greca e Francesco Borromini.
All’interno è la galleria prospettica realizzata dal Borromini: un colonnato lungo solo otto metri in fondo al quale una piccola statua, per uno strano gioco prospettico, sembra ingigantita, come lo stesso corridoio risulta più lungo.
Nel Palazzo Spada è inoltre ospitata una piccola ma importante galleria d’arte, in gran parte del Seicento, formata dal cardinale Bernardino Spada e accresciuta successivamente. Notevoli le opere del Guercino e di Guido Reni accanto ai cosiddetti Bamboccianti.
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P. Marconi, La Roma del Borromini, in Capitolium, XLII (1967): numero unico pubblicato a Roma nel 1968 con fotografie di O. Savio;
L. Benevolo, Storia dell’architettura del Rinascimento, II, Bari 1968, ad Indicem;
M. Tafuri, Teorie e storia dell’architettura, Bari 1968, ad Indicem;
E. Battisti, Il simbolismo in Borromini, in Studi sul Borromini, I, Roma 1970, pp. 231-284;
P. Portoghesi, Borromini: la vita e le opere, Milano 2019.