Giorgio de Chirico nacque il 10 luglio 1888 a Volos, città della Tessaglia, in Grecia, da Evaristo de Chirico, ingegnere ferroviario di origine siciliana, e da Gemma Cervetto, nobildonna genovese.
Nel 1891 ad Atene, dove la famiglia si era temporaneamente trasferita, nacque il fratello Andrea che preso poi lo pseudonimo di Alberto Savinio (1891-1952), fu anche lui pittore.
Dopo la nascita del fratello, la famiglia tornò a Volos dove Giorgio de Chirico iniziò a prendere lezioni di disegno.
Nel 1899, di nuovo ad Atene, il fratello studiava musica, mentre Giorgio de Chirico, iscrittosi al Politecnico, seguì per quattro anni studi di disegno e quindi un corso di pittura col ritrattista Jacobidis.
Dopo la morte del padre avvenuta nel 1905, la madre decise di abbandonare la Grecia e di trasferirsi a Monaco di Baviera dove l’ambiente era più adatto per gli studi dei figli.
Dopo un breve soggiorno in Italia, a Firenze, con visite a Venezia e a Milano, nel 1906 in autunno, madre e figli si trasferirono quindi a Monaco di Baviera dove Giorgio de Chirico frequentava l’Accademia, scoprendo Bocklin e Klinger, studiando Nietzsche, Schopenhauer e Weininger.
Poco tempo dopo, madre e fratello si trasferirono a Milano mentre Giorgio de Chirico rimase a Monaco di Baviera fino al 9 aprile 1910: in questa città dipinse i primi quadri dei quali si abbia notizia, ispirandosi a Bocklin.
Nel 1910, a seguito della partenza del fratello per Parigi, l’artista si trasferì a Milano dalla madre con la quale andò poi a vivere a Firenze. In questo periodo iniziò per il pittore una nuova fase artistica: non più opere ispirate a Bocklin, ma iniziò la produzione di diversi tipi di dipinti ovvero i quadri degli Enigmi dove ritroviamo le atmosfere delle più tarde Piazze d’Italia d’ispirazione metafisica.
Successivamente, assieme alla madre, l’artista decise di andare a Parigi per ricongiungersi con il fratello: dopo una breve sosta a Torino, madre e figlio arrivarono così il 14 luglio 1911 nella capitale francese dove cambiarono residenza cinque volte nell’arco di un anno.
Nel 1912 l’artista presentò tre quadri al Salon d’Automne e nel 1913 partecipò al Salon des Independants, su consiglio di Guillaume Apollinaire. Nel novembre dello stesso anno espose nuovamente al Salon d’Automne, dove un signore di Le Havre acquistò il suo quadro intitolato La tour rouge.
Nel 1914 incontrò il giovane mercante Paul Guillaume, tramite Apollinaire che aveva iniziato a seguire l’opera di Giorgio de Chirico con interesse.
Nello stesso anno, l’artista firmò con Paul Guillaume un contratto per la produzione delle sue opere ed espose nuovamente al Salon des Independants.
Nel 1915, a seguito dello scoppio della prima guerra mondiale, il gruppo parigino si sfaldò e i fratelli de Chirico rientrarono in Italia dove si arruolarono. Destinati inizialmente al distretto di Firenze, furono poi trasferiti a Ferrara dove furono raggiunti dalla madre.
A Ferrara, Giorgio de Chirico conobbe Filippo de Pisis e, tramite Soffici e Papini, Carlo Carrà. In quel periodo nacque quella che sarà in seguito definita “pittura metafisica”, che la Rivista d’Arte Valori Plastici, di Mario ed Edita Broglio, alla quale de Chirico collaborò dagli inizi, consacrò in sede teorica quale insegna del “richiamo dell’ordine” e del ridimensionamento dell’avanguardia.
Nell’autunno del 1918, Giorgio de Chirico ottenne il trasferimento a Roma dove visse con la madre, in gravi difficoltà economiche. Nel medesimo periodo collaborava con il gruppo “Valori Plastici” e con il gruppo futurista e dada.
Nel 1919 l’artista organizzò la prima personale alla Galleria Bragaglia di Roma dove riuscì a vendere soltanto un quadro: nella mostra furono esposte le opere del periodo metafisico di Ferrara e apparve lo scritto Noi Metafisici, di fondamentale importanza quale manifesto del pensiero di de Chirico. Per la produzione artistica e letteraria fu firmato un contratto di esclusiva con Mario Broglio.
Tra il 1920 e il 1921, Giorgio de Chirico viveva tra Roma, Firenze e Milano, partecipando a diverse mostre significative dove furono esposte opere metafisiche e i risultati delle più recenti ricerche legate alla frequentazione dei musei e alla rivelazione della grande pittura. In questo periodo dipinse le Piazze Romane.
Nel 1923 viveva sempre con la madre, tra Roma e Firenze, qui ospite di Giorgio Castelfranco, suo amico e mecenate. In quell’anno, espose alla Biennale di Roma, ma non riscosse il favore della critica.
Nel 1924 partecipò alla XIV Biennale di Venezia e a Roma incontrò Raissa Gurievich Krol, ballerina russa del “Teatro degli Undici” che diventò poi sua moglie e nel 1925 lo seguì a Parigi dove si dedicò allo studio dell’archeologia.
A Parigi i surrealisti riconobbero in de Chirico un loro maestro e ispiratore, ma rappresentavano un ostacolo all’affermazione della sua opera più recente che Andrè Breton considerava degenere e non esitò ad attaccare pubblicamente in occasione della personale di de Chirico alla Galleria Leonce Rosenberg, nel mese di maggio.
Nel 1926 la frattura con i surrealisti diventò inevitabile: de Chirico diventò per Breton un genio perduto e il genio si richiuse in se stesso in una posizione rigorosamente anti-modernista e dichiaratamente anti-surrealista.
Tra il 1927 e il 1928, iniziò a esporre con il gruppo “Novecento”, in Italia e all’estero, e partecipò a mostre in Inghilterra e negli Stati Uniti. La critica cominciò a interessarsi alla nuova produzione, cui è dedicata nel 1928 la monografia di Waldemar George. Nello stesso anno apparve il Saggio di studio indiretto su Giorgio de Chirico di Jean Cocteau, Le Mystere Laic, prima approfondita analisi poetica dell’opera dechirichiana dopo i testi di Apollinaire e Breton.
Nel 1929 fu pubblicato Hebdomeros, straordinario testo autobiografico di Giorgio de Chirico che nello stesso anno creava scene e costumi per il balletto Le Bal, su musica di Rieti, messo in scena dai Balletti Russi di Diaghilev.
Nel 1930 eseguì sessantasei litografie per i Calligrammes di Apollinaire (Edizioni Gallimard) e a Parigi incontrò Isabella Pakszwer, russa emigrata, che diventerà sua seconda moglie e alla quale resterà unito fino alla morte.
Nel 1932 Giorgio de Chirico e Isabella Pakszwer si trasferirono in Italia, dove per l’attività scenografica e le varie esposizioni, l’artista fu obbligato a numerosi trasferimenti. I due tornarono a Parigi nel 1934.
Nel 1935 de Chirico partì per New York dove in autunno si aprì una sua personale alla Pierre Matisse Gallery con grande successo di pubblico e di critica. Isabella lo raggiunse nel 1936.
Nel 1938 l’artista e sua moglie tornarono in Italia, di nuovo in Francia nel 1939, nel 1940 vissero tra Milano e Firenze. In questo periodo l’artista espose a Torino, Milano e Firenze, presentando nuovi soggetti naturalistici e vari ritratti.
Inoltre, iniziò a interessarsi alla scultura in terracotta.
Nel 1942 de Chirico fu presente alla Biennale di Venezia con un gruppo di opere discusse dalla critica che parla di una fase “barocca” appesantita dalla ripresa di elementi cinquecenteschi e seicenteschi.
Nel 1944 i de Chirico si stabilirono definitivamente a Roma: in questo periodo diverse furono le polemiche sulle nuove ricerche dell’artista che quarant’anni dopo furono assunte quali punti di partenza delle nuove tendenze pittoriche in Italia. Così pure diverse furono le polemiche sull’autenticità delle sue opere destinate a continuare ad aggravarsi nel corso degli anni.
Nel 1948 l’artista fu nominato membro della Royal Society of British Artists, a Londra e nello stesso anno, la Biennale di Venezia allestì una mostra che privilegiava il periodo metafisico di de Chirico a discapito della sua produzione più recente.
Nel 1949 fu organizzata una sua personale di oltre cento opere alla Royal Society of British Artists a Londra: le stesse opere furono in seguito esposte a Venezia in opposizione alle scelte della Biennale.
Nel 1950 organizzò un’antibiennale con pittori realisti nella sede della Società Canottieri Bucintoro, a Venezia.
Tra il 1952 e il 1954 alcune sue personali concepite come manifestazioni antimoderniste, si tennero a Venezia.
La seconda metà degli anni Cinquanta fu caratterizzata da ulteriori mostre che, in gran numero, furono allestite a Venezia, Genova, Roma, Torino e Milano: de Chirico riprendeva dichiaratamente temi metafisici degli anni precedenti continuando a dipingere “vite silenti” con sfondo di paesaggio, ritratti, interni, polemizzando con l’arte contemporanea, denunciando i numerosi falsi che invadono il mercato, lavorando contemporaneamente ai temi diversi che costituiscono il panorama dell’arte dechirichiana, al di fuori di ogni tendenza o corrente.
Nel 1964 Giorgio de Chirico riprese l’attività scenografica e verso la fine degli anni Sessanta iniziò la tiratura in bronzo di sculture alle quali l’artista aveva lavorato negli ultimi anni: opere che ripropongono in tre dimensioni i protagonisti del suo mondo metafisico e i classici cavalli.
Nel 1968 ebbe invece inizio la sua intensa attività litografica.
Gli anni Settanta segnano l’ultimo periodo della vita di Giorgio de Chirico, caratterizzato da numerose mostre, premi e riconoscimenti.
Nel 1976 l’artista ricevette la Croce di Grande Ufficiale della Repubblica Federale Tedesca e nel 1978, in occasione del suo novantesimo compleanno, a Parigi, fu omaggiato con una grande rassegna delle sue opere esposte a Parigi, nella galleria Artcurial di Rue de Matignon.
Giorgio de Chirico morì a Roma il 20 novembre 1978: inizialmente sepolto nel Cimitero del Verano, nel 1992 le sue spoglie furono traslate nella chiesa di San Francesco a Ripa, nel rione romano di Trastevere.
Per ospitare la sua tomba, in questa chiesa barocca fu realizzata appositamente una piccola cappella ricavata utilizzando una confinante proprietà del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
La vedova del pittore, Isabella Pakszwer (in arte da scrittrice Isabella Far), donò ai frati francescani tre tele del Maestro da apporre nella cappella della sepoltura. Le tele sono: Autoritratto, Ritratto della moglie Isa (La dama velata) e La Caduta o Salita al Calvario.
Opere di Giorgio de Chirico
La battaglia dei Lapiti e dei Centauri, 1909 circa, olio su tela, cm 75×112, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma,
Centauro morente, 1909, olio su tela, cm 117×73, collezione Assitalia, Roma,
Ritratto di Andrea de Chirico, 1910, olio su tela, cm 119×75, Staatliche Museen, Nationalgalerie, Berlino,
Ritratto della madre, 1911, olio su tela, cm 85,5×62, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, donazione Isabella Pakszwer de Chirico,
Portrait de Mme. Gartzen, 1913, olio su tela, cm 73×60, collezione privata, Roma,
L’énigme de l’arrivée, 1912, olio su tela, cm 70×86, collezione privata, New York,
Le voyage émouvant (Il viaggio inquietante), 1913, olio su tela, cm 74×107, The Museum of Modern Art, New York,
La récompense du devin (Il tributo dell’oracolo), 1913, olio su tela, cm 136×181, Philadelphia Art Museum, Filadelfia, Louise and Walter Arensberg Collection,
La nostalgie de l’infini (La nostalgia dell’infinito), 1913, olio su tela, cm 135,5×64,8, The Museum of Modern Art, New York,
La grande tour (La grande torre), 1913, olio su tela, cm 123,5×52,5, Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen, Dusseldorf,
L’incertitude du poète (L’incertezza del poeta), 1913, olio su tela, cm 104×92, collezione privata, Londra,
La gare Montparnasse (La melancolie du départ), 1914, olio su tela, cm 140×184,5, The Museum of Modern Art, New York,
Le mauvais génie d’un roi (Il cattivo genio di un re), 1914-1915, olio su tela, cm 61×50,5, The Museum of Modern Art, New York,
Mélancolie et mystère d’une rue (Mistero e malinconia di una strada), 1914, olio su tela, cm 87×71,5, collezione privata,
La tour rouge (La torre rossa), 1913, olio su tela, cm 73,5×100,5, Fondazione Peggy Guggenheim, Venezia,
L’énigme de la fatalité (L’enigma della fatalità), 1914, olio su tela, cm 138×95,5, Kunstmuseum, Basilea (deposito della Fondazione Emmanuel Hoffmann),
La nostalgie du poète (La nostalgia del poeta), 1914, olio e carboncino su tela, cm 89,5×40,5, Fondazione Peggy Guggenheim, Venezia,
Portrait de Guillaume Apollinaire, 1914, olio su tela, cm 81,5×65, Centre Georges Pompidou, Parigi,
Le cerveau de l’enfant (Il cervello del bambino), 1914, olio su tela, cm 80×63, Moderna Museet, Stoccolma,
L’angoisse du départ (Angoscia della partenza), 1913-1914, olio su tela, cm 85×69, Albright-Knox Art Gallery, Buffalo,
La conquete du philosophe (La conquista del filosofo), 1914, olio su tela, cm 125×99, The Art Institute, Chicago,
Le chant d’amour (Canto d’amore), 1914, olio su tela, cm 73×59,1, The Museum of Modern Art, New York,
Il filosofo e il poeta, 1914, olio su tela, cm 83×66, Modern Gallery, Ginevra,
Le vaticinateur (Il vaticinatore), 1915, olio su tela, cm 89,6×70, The Museum of Modern Art, New York,
Double reve du printemps (Doppio sogno di primavera), 1915, olio su tela, cm 56,2×54,3, The Museum of Modern Art, New York,
Il duo, 1915, olio su tela, cm 82×59, The Museum of Modern Art, New York,
Ettore e Andromaca, 1924 circa, olio su tela, cm 98,5×74,5, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma,
Le grand automate, 1925, olio su tela, cm 110×65, Museum of Honolulu,
Le muse inquietanti, 1925, olio su tela, cm 97×67, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma,
Gli archeologi, 1927, olio su tela, cm 116×99, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma,
Autoritratto nello studio di Parigi, 1935, olio su tela, cm 130×76, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma,
Natura morta con paesaggio roccioso, 1942, olio su tela, cm 36×45, collezione privata, Roma,
Autoritratto, 1948, olio su tela, cm 40×30, collezione privata,
Torta con teiera d’argento, 1952, olio su tela, cm 50×60, collezione privata, Trieste,
Cavalieri con cavalli in rima al mare, 1960 circa, olio su tela, cm 76×107, collezione privata, Roma,
Il grande metafisico, 1971, olio su tela, cm 80×60, collezione privata.
Opere di Giorgio de Chirico
Canto d’amore
Datazione: 1914,
misure: cm 73×59,1,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Museum of Modern Art, New York.
Opera enigmatica e misteriosa, il Canto d’amore presenta vari oggetti che nascondono vari significati: un guanto evoca il calco di una mano, una statua di gesso riecheggia l’Apollo del Belvedere e sullo sfondo del quadro la sagoma di una locomotiva ci ricorda che l’amore è un sentimento complesso fatto di istanti fuggevoli e inafferrabili, proprio come il fumo di un treno che si dissolve pochi istanti dopo il suo passaggio.
La pittura di Giorgio de Chirico rimane sospesa nel limbo di tutti i significati possibili, come certa poesia ermetica che, senza dare la chiave, apre infinite porte.
In questo dipinto la generale sensazione di mistero è suggerita non solo dagli elementi in primo piano, ma anche dal fumo della locomotiva, la cui innaturale fissità contribuisce a congelare ulteriormente l’intera raffigurazione. Siamo all’interno di uno spazio mentale assoluto, dove non trova spazio l’esperienza fisica dei fenomeni, ma la loro natura metafisica.
Ritratto premonitore di Guillaume Apollinaire
Datazione: 1914,
misure: cm 81,5×65,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Museo Nazionale d’Arte Moderna, Parigi.
Il poeta Guillaume Apollinaire fu ritratto diverse volte dai suoi amici pittori e scultori che giustamente vedevano in lui un interprete dell’arte francese del primo Novecento.
Anche Giorgio de Chirico lo ritrasse in un dipinto inizialmente intitolato Uomo-bersaglio dove lo stesso poeta si riconosceva e lo riteneva un’opera singolare e simbolica e addirittura un suo “autoritratto”.
Lo scambio intellettuale e il legame tra il poeta e l’artista sono tutti colti nel quadro, che offre un intricato gioco di rimandi.
Elementi contrapposti e misteriosi rendono l’opera un vero e proprio rebus visivo, “metafisico”, termine che lo stesso de Chirico utilizzò per definire la sua pittura dal 1916, ma che già qui trova un primo antecedente.
Nel ritratto è evidente, infatti, l’allusione a una realtà non naturale e il gusto per l’enigma che avrebbero contraddistinto quella stagione che l’artista inaugura a Ferrara insieme a Carlo Carrà.
Il senso dell’opera va dunque indagato tenendo conto oltretutto del disorientamento creato dal titolo, giacché chiaro ed evidente in primo piano non compare il protagonista, ma un busto antico, mentre Apollinaire è relegato sul fondo (o addirittura in uno spazio non definibile) dipinto di tre quarti con una sagoma scura o piuttosto come un’ombra evocata.
Sulla figura, in corrispondenza della tempia, compare un semicerchio bianco, enigmatico: è una premonizione di de Chirico, poiché due anni dopo la realizzazione del dipinto, Apollinaire sarà colpito in guerra nel punto esatto indicato dal cerchio-bersaglio.
Le muse inquietanti
Datazione: 1918,
misure: cm 97×66,
tecnica: olio su tela, collocazione: collezione privata, Milano.
Il dipinto mostra una piazza sul cui fondo compare il Castello Estense di Ferrara, ma anche una fabbrica con due ciminiere e altri caseggiati bassi.
Sulla destra, un palazzo ad arcate rievoca l’architettura classica: nel susseguirsi di incongruenze prospettiche, Medioevo, Rinascimento e tempi recenti si mescolano tra loro, allo stesso modo in cui si uniscono sempre, nelle opere di de Chirico, i riferimenti alla storia e alla vita comune.
Si nota questa doppia attitudine anche nel mondo in cui de Chirico si lasciò colpire da Ferrara: da una parte la vide come città “quantomai metafisica”, capace di mostrare “lembi della grande notte medievale”, con “le vetuste mura teatralmente e romanticamente tenebrose”.
Dall’altra parte fu attratto dalle vetrine dei negozi ferraresi, in cui si trovavano “dei dolci e dei biscotti dalle forme oltremodo metafisiche e strane”. Qui troviamo in primo piano, in particolare, una scatola multicolore che ricorda quelle fatte per contenere dolciumi.
Nulla, comunque, traspare della reale vitalità cittadina. Ferrara è qui solo il simbolo di una città che ebbe una corte, un potere, ma che ora è ridotta a puro involucro della propria memoria.
L’immagine è infatti costruita per dare una sensazione di irrealtà, per proporsi come lo spazio di una rappresentazione mentale: l’orizzonte, innaturalmente alto, pare far posto a un immenso palco teatrale.
I rossi accesi, il verde del cielo e le ombre allungate alludono a un crepuscolo estivo; ma a scomparire non è solo il giorno, bensì un’intera cultura, simboleggiata dalle sculture, non meno che dall’ambientazione.
Le due figure in primo piano appaiono come incroci tra differenti tradizioni e ambiti d’azione: quella in piedi mostra una testa da manichino sartoriale innestata su una schiena muscolosa da statua classica e su una veste che ricorda le scanalature di una colonna dorica; quella seduta ricorda nelle proporzioni alcune figure di Picasso e le cuciture da cui è segnata suggeriscono un fantoccio di pezza, anziché di marmo. La sua testa è svitata e accostata alle gambe.
Serio e faceto, aulico e quotidiano, si congiungono in un mondo fattosi inospitale.
Al tramonto dell’Occidente, della cultura nata dal Mediterraneo, le muse recano disorientamento e inquietudine: le Grazie che rasserenarono un altro italo-greco, Ugo Foscolo, sono ormai lontanissime.
Bibliografia
M. Fagiolo, L’opera completa di de Chirico 1908-1924, Milano 1984.
Opere di catalogazione: A. Ciranna, Giorgio de Chirico. Catalogo delle opere grafiche 1921-1969, ed. Ciranna, Galleria La Medusa, Milano-Roma 1969;
Catalogo generale Giorgio de Chirico., coordinatore generale dell’opera C. Bruni Sakraishik, con la collab. dei D. e di I. Far e la consulenza di G. Briganti, 6 voll., Milano 1971-76. Cataloghi di mostre: Giorgio de Chirico., Palazzo reale, Milano, a cura di F. Russoli, aprile-maggio 1970;
La pittura metafisica, Palazzo Grassi, Venezia, a cura di G. Briganti-E. Coen, 1979;
G. D. 1888-1978, Galleria nazionale d’arte modema, Roma, I-II, a cura di G. De Marchis-P. Vivarelli-N. Cardano-A. M. Del Monte, Roma 1981;
D., Museum of Modem Art, New York 1982; Giorgio de Chirico der Metaphysiker, Haus der Kunst, Monaco di Baviera 1982-83. Contrib. scient.: A. Jouffroy-W. Schmied-M. Fagiolo dell’Arco, Conoscere de Chirico, Milano 1979;
M. Fagiolo dell’Arco, Studi, I, “Le Rêve de Tobie”. Un interno ferrarese e le origini del Surrealismo; II, Il tempo di Valori plastici; III, Il tempo di Apollinaire, Roma 1980-81;
M. Calvesi-E. Coen-G. Dalla Chiesa, La Metafisica, Museo documentario, Ferrara 1981;
M. Calvesi, La Metafisica schiarita, Milano 1981;
M. Fagiolo dell’Arco-P. Baldacci, G. D., Parigi 1924-1929, Milano 1982;
M. Fagiolo dell’Arco, D. in America 1935-37. His metaphysic offashion, in Art Forum, sett. 1984, pp. 78-83;
L. Cavallo-M. Fagiolo, de Chirico disegni inediti, Milano 1985;
F. Messina, Care grandi ombre … Milano 1985, ad Ind.; de Chirico: gli anni Venti, a cura di M. Fagiolo, Milano 1987.