Giulio Pippi detto Giulio Romano nacque a Roma, in data non meglio precisata, tra il 1492 ed il 1499, fu allievo e collaboratore di Raffaello e fu attivo sia come pittore sia come architetto.
Grande organizzatore di imprese decorative, si occupò della realizzazione di importanti cicli di affreschi come le stanze delle logge del Vaticano, la Farnesina, villa Madama.
Non è facile distinguere la mano di Giulio Romano da quelle degli altri collaboratori di Raffaello: un tratto più plastico e colori metallici caratterizzano tuttavia opere come il Martirio di Santo Stefano (chiesa di Santo Stefano, Genova) o la Madonna della gatta (Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli), in cui emerge anche la tendenza a gesti ed espressioni di una certa enfasi oratoria, in linea con il nascente manierismo.
Nel 1520, alla morte di Raffaello, Giulio Romano assunse la direzione della sua bottega, portando a compimento lavori di notevole impegno (sala di Costantino in Vaticano).
Nel 1524 si trasferì a Mantova dove ideò per i Gonzaga, straordinari cicli di affreschi, costruzioni ambiziose (Palazzo Te, il duomo di Mantova, l’abbazia di San Benedetto Po) o colossali rinnovamenti di edifici antichi (nuovi quartieri e cortili in Palazzo Ducale).
Realizzò anche cartoni per arazzi e disegni per oreficerie, curando nel suo complesso tutta l’immagine pubblica della corte di Isabella e di Federico Gonzaga.
La dispersione e la demolizione delle residenze gonzaghesche ha fatto parzialmente perdere alcune di queste imprese: l’operazione più complessa e ricca di significati resta la progettazione e la decorazione di Palazzo Te, in cui ogni sala presenta nuove e sempre più coinvolgenti soluzioni ornamentali.
Giulio Romano fu anche a Bologna: la visitò nel 1538 e vi soggiornò dal dicembre 1545 al gennaio 1546, dove lavorò insieme con Cristoforo Lombardi, architetto del duomo di Milano. I due progettarono assieme l’alzato di una facciata gotica con paraste corinzie ed archi a sesto acuto.
Sempre durante il soggiorno bolognese, Giulio Romano realizzò anche il progetto per il monumento di Ludovico Boccadiferro, giurista molto legato alla famiglia Gonzaga e al cardinale Ercole.
A seguito dell’incendio che il 1° aprile 1545 causò la distruzione parziale del duomo di Mantova, pochi giorni dopo, il 13 aprile Ercole Gonzaga diede incarico della sua ricostruzione a Giulio Romano.
La ricostruzione avvenne molto rapidamente tant’è che alla fine dell’anno furono terminati il transetto e le navate. In questa sua ultima opera, Giulio Romano si confrontò con l’architettura paleocristiana, con la vecchia basilica di San Pietro, ma anche con i progetti per la nuova basilica vaticana.
La nuova costruzione mantenne il perimetro di quella medievale, ma la pianta a croce latina fu suddivisa in cinque navate e probabilmente nel coro era prevista una soluzione con ambulacro, che però non fu mai realizzata.
Il 1° novembre 1546 Giulio Romano morì a Mantova dopo una breve malattia e fu sepolto nella chiesa di San Barnaba che era situata di fronte alla sua abitazione.
Il figlio, Raffaello, ne ereditò il patrimonio e la collezione di antichità, dipinti e disegni.
Opere di Giulio Romano
Opere pittoriche
Affreschi di Villa Farnesina a Roma,
Affreschi di Villa Madama a Roma,
Affreschi della sala di Costantino nelle stanze Vaticane,
Ritratto di Dona Isabel de Requesens (Giovanna d’Aragona), 1518, olio su tavola trasportata su tela, Museo del Louvre, Parigi (opera di Raffaello con la mano di Giulio Romano)
Sacra Famiglia sotto la quercia, 1518 circa, olio su tavola, cm 144 x 110, Museo del Prado, Madrid (opera di Raffaello con la mano di Giulio Romano),
La perla,1518-1520 circa, olio su tela, cm 144 x 115, Museo del Prado, Madrid (su disegno di Raffaello),
Madonna col Bambino e san Giovanni Battista (Madonna Novar), 1518-1520 circa, olio su tavola, National Gallery of Scotland, Edimburgo,
Deesis con i santi Paolo e Caterina,1520 circa, olio su tavola, cm 122 x 98, Galleria Nazionale, Parma,
Ritratto di giovane (Alessandro de’ Medici?), 1520 circa, olio su tavola, Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid,
Santa Maria Maddalena sostenuta dagli angeli, 1520-1521 circa, pittura murale staccata, cm 165,1×236,2, National Gallery, Londra,
Madonna col Bambino, 1520-1522, olio su tavola, cm 195×77, Galleria degli Uffizi, Firenze,
Sacra Famiglia, 1520-1523 circa, olio su tavola, J Paul Getty Museum, Los Angeles,
Simboli degli Evangelisti, 1520-1525 circa, olio su tavola, cm 22×22, Kunsthistorisches Museum, Vienna,
Lapidazione di Santo Stefano, 1521 circa, olio su tavola, cm 288×403, chiesa di Santo Stefano, Genova,
Madonna col Bambino (Madonna Hertz), 1522-1523, olio su tavola, cm 37 x 30,5, Palazzo Barberini, Roma,
Circoncisione, 1522-1523, olio su tavola riportata su tela, cm 111,5×122, Museo del Louvre, Parigi,
Madonna col Bambino e sant’Anna (Madonna della gatta), 1522-1523, olio su tavola, 171 x 143 cm, Gallerie Nazionali di Capodimonte, Napoli,
Madonna col Bambino e san Giovanni Battista, 1523 circa, olio su tavola, cm 126 x 85, Galleria Borghese, Roma,
Incoronazione della Vergine (Madonna di Monteluce), 1523-1525, olio su tavola, Pinacoteca Vaticana, (con la collaborazione di Giovan Francesco Penni su disegno di Raffaello),
Donna allo specchio (1523-1524), olio su tela trasportata su tavola, 111 x 92 cm, Museo Puškin, Mosca,
Sacra Famiglia e committenti (Pala Fugger), 1523-1524 circa, olio su tela, chiesa di Santa Maria dell’Anima, Roma,
Due amanti, 1523-1524 circa, olio su tavola trasferito su tela, cm 163 x 337, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo,
Affreschi nella Sala di Psiche, 1526-1528, Palazzo Te, Mantova,
Santa Margherita, 1528 circa, olio su tavola, cm 185×117, Museo del Louvre, Parigi,
Nascita di Bacco, 1530 circa, olio su tavola, J Paul Getty Museum, Los Angeles,
Ritratto di Margherita Paleologa, 1531 circa, olio su pannello, cm 115 x 90, Richmond upon Thames, Hampton Court,
Adorazione dei pastori e santi, 1532-1534, olio su tavola, cm 275 x 212, Museo del Louvre, Parigi,
Plutone sul carro, 1532-1536 circa, olio su tela, cm 92×62, Kunsthistorisches Museum, Vienna,
Affreschi nella Sala dei Giganti, 1532-1535, Palazzo Te, Mantova,
Trionfo di Tito e Vespasiano, 1537, olio su tavola, cm 122 x 171, Museo del Louvre, Parigi,
Imperatore a cavallo, 1536-1539, olio su tavola, cm 83 x 54, Hampton Court, Londra,
Affreschi nella Sala di Troia, 1536-1540, Palazzo Ducale, Mantova,
Allegoria dell’Immortalità, 1540 circa, olio su tavola, Institute of Arts, Detroit.
Opere architettoniche
Roma
- Villa Lante;
- Palazzo Maccarani Stati;
- Villa Madama;
- Palazzo Alberini: edificato su progetto di Giulio Romano;
- Casa del boia (Casa di Mastro Titta): le decorazioni sono attribuite a Giulio Romano.
Mantova e provincia
- Palazzo Te, Mantova, 1524-1534;
- Casa di Giulio Romano, Mantova, progettata nel 1544;
- Palazzina della Paleologa a Mantova, costruita nel 1531 su disegno di Giulio Romano: demolita nel 1899;
- Ricostruzione del duomo di Mantova, 1545;
- Villa Gonzaga-Zani a Villimpenta, 1530 circa;
- Abbazia di San Benedetto in Polirone, San Benedetto Po, 1540.
Milano
Giulio Romano fu consulente per la Porta in Compito, duomo di Milano.
Padova
Ristrutturazione della Villa dei Vescovi a Torreglia.
Opere di Giulio Romano
Sacra Famiglia (La Perla)
Datazione: 1518 circa,
misure: cm 147,4×116,
tecnica: olio su tavola,
collocazione: Museo del Prado, Madrid.
Filippo IV chiamò questo dipinto “La Perla” perché era il suo preferito tra tutti quelli della sua collezione.
L’opera fu realizzata su disegno di Raffaello ma parte dell’esecuzione fu affidata al suo allievo Giulio Romano.
Come in altre ultime opere di Raffaello, troviamo notevole enfasi sul paesaggio e sui contrasti di luce, che rivelano la conoscenza delle opere di Leonardo da Vinci. Tale influenza è evidente anche nella disposizione piramidale delle figure.
L’opera fu dipinta per Ludovico Canossa, e successivamente passò per le collezioni del Duca e della Duchessa di Mantova, Carlo I d’Inghilterra e poi di Luis de Haro, che lo consegnò a Filippo IV.
La Sacra Famiglia con il Bambino San Giovanni Battista (Madonna Novar)
Datazione: 1518-1523 circa,
misure: cm 82,50 x 63,20
tecnica: olio ed oro su tavola,
collocazione: National Gallery of Scotland, Edimburgo.
Il gruppo di figure, ispirato a una composizione di Raffaello, è rappresentato di notte in un cortile. È appena possibile intravedere Giuseppe con una lampada che conduce un asino attraverso l’arco di fondo.
Il vivace rapporto tra i due bambini richiama l’attenzione sulle parole latine poste sul rotolo, che tradotte, significano “l’Agnello di Dio” ovvero l’appellativo dato da San Giovanni Battista a Gesù.
Le figure in equilibrio precario ed i colori stridenti e contrastanti sono caratteristici del manierismo di Giulio Romano.
Santa Maria Maddalena sostenuta dagli angeli
Datazione: 1520-1521 circa,
misure: cm 165,1 x 236,2
tecnica: affresco staccato,
collocazione: National Gallery, Londra.
In questo dipinto di Giulio Romano, Santa Maria Maddalena è raffigurata nuda, ma coperta dai suoi lunghi capelli, nell’attimo in cui sta risorgendo dai morti nel Giorno del Giudizio, trasportata in cielo dagli angeli.
Maria di Magdala sulle rive del lago di Galilea era una seguace ebrea di Cristo, che fu testimone della sua crocifissione, della sua sepoltura e della sua resurrezione.
Durante il Medioevo fu confusa con l’anonima ‘peccatrice’ che unge i piedi di Gesù nel Vangelo di San Luca (7,36-50) ed una leggenda la riteneva una prostituta pentita.
Quest’opera di Giulio Romano fa parte di uno dei quattro affreschi delle lunette (a mezzaluna) della vita di Santa Maria Maddalena provenienti dalla cappella Massimi nella chiesa dei SS. Trinità dei Monti, a Roma, in cima alla famosa scalinata di Piazza di Spagna.
L’edificazione della cappella fu voluta da una ricca cortigiana romana, presumibilmente chiamata Lucrezia Scanatoria, la cui tomba scolpita era un tempo ospitata lì.
Le lunette erano poste alla sommità delle pareti sotto la volta ad arco del soffitto. I Quattro Evangelisti della volta, le lunette e altri ornamenti della cappella furono dipinti da Giulio Romano, assistito dal suo collaboratore Gianfrancesco Penni. Entrambi gli artisti si erano formati con Raffaello e la sua influenza può essere vista nelle loro opere di questo periodo.
Giulio Romano dipinse anche la pala d’altare per la cappella, ora a Madrid, nel Museo del Prado: l’opera intitolata Noli me tangere, raffigura Santa Maria Maddalena che riconosce Cristo nell’orto del Getsemani dopo la sua resurrezione.
Le lunette della cappella Massimi nella chiesa dei SS. Trinità dei Monti a Roma devono essere state completate prima della partenza di Giulio Romano per Mantova nel 1524, probabilmente intorno al 1521.
Poco dopo la tomba della cortigiana fu rimossa e nel 1537 la cappella passò alla famiglia Massimi. Angelo Massimi (1491-1550), magistrato, incaricò il cognato di Gianfrancesco Penni, Perin del Vaga (1500-1547), di completare la decorazione della cappella con scene della vita di Cristo.
L’affresco di Perin del Vaga, La resurrezione di Lazzaro, è attualmente conservato nel Victoria and Albert Museum di Londra. Dopo la sua morte, Angelo Massimi fu sepolto nella chiesa della S.S. Trinità dei Monti e il tema della resurrezione sarebbe stato particolarmente appropriato per questa cappella funeraria.
Due disegni di Giulio Romano – Marta che conduce Maria Maddalena a Cristo (collezione Devonshire, Chatsworth House) e La festa nella casa di Simone (Pierpont Morgan Library, New York) – si pensa siano collegati a due delle altre narrazioni nelle lunette.
Nel 1837 crollò la volta della cappella e gli affreschi superstiti furono venduti. Alcuni sono conservati in collezioni privati, altri in tre musei: la National Gallery di Londra, il British Museum, nella stessa città, e il National Museum di Budapest.
Sacra Famiglia
Datazione: 1520-1523 circa,
misure: cm 77,5 × 61,9,
tecnica: olio su tavola, forse mescolato con tempera,
collocazione: J. Paul Getty Museum, Los Angeles.
Opera enigmatica e conosciuta con vari titoli, questo dipinto di Giulio Romano raffigurerebbe il primo incontro tra Cristo e San Giovanni Battista nel giorno della tradizionale cerimonia di purificazione ebraica, quaranta giorni dopo il compleanno di Giovanni Battista.
A destra una donna porta un cesto con due tortore, offerta obbligatoria dei poveri. Dopo la cerimonia di purificazione, durante la quale il sacerdote riconobbe il destino di Cristo, Maria, Giuseppe e Gesù fecero visita a sua cugina Elisabetta e al piccolo San Giovanni Battista, figlio di Elisabetta.
Nella scena dipinta da Giulio Romano, Gesù apre un libro, mostrando che la sua nascita ha segnato l’inizio di una nuova era. Il rotolo, uno degli attributi di San Giovanni Battista, riporta la seguente scritta: “Ecce Agnus Dei” (Ecco l’agnello di Dio).
Essendo uno dei principali collaboratori di Raffaello, Giulio Romano adottò lo stile tardo del maestro: qui è evidente nel paesaggio cupamente evocativo, nelle figure strettamente interconnesse e nei volti femminili idealizzati.
Altri elementi caratteristici di questo dipinto di Giulio Romano sono la tavolozza metallica, le figure muscolose con lineamenti pesanti e dettagli vivaci come il cane che si precipita fuori dalla porta a sinistra ed il paesaggio all’antica a destra.
Madonna della gatta
Datazione: 1522-1523 circa,
misure: cm 172×144,
tecnica: olio su tavola,
collocazione: Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli.
Quest’opera di Giulio Romano fu vista da Giorgio Vasari a Mantova, nel 1566 e notò che vi era raffigurato pure un gatto che ricordò nel suo libro delle Vite degli artisti come una gatta che pareva vivissima.
All’epoca il dipinto veniva menzionato come quadro della gatta ed è comunemente conosciuto col titolo di Madonna della gatta.
Databile al 1522-1523, fu probabilmente realizzato per Federico Gonzaga quando Giulio Romano era ancora a Roma.
Dopo essere stato probabilmente conservato tra le opere della collezione Gonzaga, sicuramente nel tardo Cinquecento era di proprietà della nobildonna parmense Barbara Sanseverino, poi pervenne nel 1612 ai Farnese, in seguito alle confische operate ai danni dei nobili locali.
Infine, intorno al 1737 confluì nelle raccolte ereditate da Carlo di Borbone e fu quindi trasferita a Napoli, nella reggia di Capodimonte.
Il dipinto segue uno schema piramidale, tipico delle opere di Leonardo e di Raffaello e vi sono raffigurati la Madonna col Bambino affiancati da Sant’Anna e da San Giovannino.
Gesù, a cavalcioni sulle gambe della madre, si sta sporgendo verso il piccolo San Giovanni Battista, vestito con un mantello di peli di cammello legato con una cinghia alla vita.
Ai loro piedi, in primo piano, è situata la culla di legno decorata con un fregio classico raffigurante una divinità alata; su di essa è posto di traverso il bastone di canna su cui è arrotolato il cartiglio del Battista «ECCE AGNUS DEI». Sullo sfondo ritroviamo invece la figura di San Giuseppe.
Madonna col Bambino e san Giovanni Battista
Datazione: 1523 circa,
misure: cm 126 x 85,
tecnica: olio su tavola,
collocazione: Galleria Borghese, Roma.
Questo dipinto conservato a Roma, nella Galleria Borghese, è stato in passato attribuito a Giovan Francesco Penni come ci ricorda un’iscrizione settecentesca posta sul retro dell’opera: tuttavia studi più recenti sostengono la piena autografia di Giulio Romano, sulla base di alcune considerazioni stilistiche quali la qualità elevata, le tipologie dei volti e soprattutto l’originalità di talune soluzioni.
Nel 1999, il dipinto è stato oggetto di un restauro durante il quale è stata effettuata una riflettografia che ha messo in evidenza la presenza di un disegno di mano di Raffaello: di questo disegno si conosce uno studio preparatorio conservato all’Ashmolean Museum di Oxford.
Dal disegno di Raffaello, Giulio Romano elaborò in modo originale la figura della Madonna protesa ad abbracciare il Bambino in piedi in posa frontale: il San Giovannino che protende un cardellino a Gesù ha la funzione di introdurre l’osservatore verso il nucleo centrale della composizione, dove Maria, raffigurato col corpo allungato ed una torsione di chiara ispirazione michelangiolesca, avvolge il suo Bambino con un abbraccio affettuoso.
Elementi di novità introdotti da Giulio Romano, sono anche il cangiantismo delle vesti, contrastante con le ombreggiature cupe delle pieghe, e la presenza dei riferimenti alla statuaria classica resa però più realistica e scultorea. Da notare, la trattazione del sottile e morbido pelo del cane, in penombra nel secondo piano.
Incoronazione della Vergine (Madonna di Monteluce)
Datazione: 1505-1525,
misure: cm 354 x 232,
tecnica: olio su tavola,
collocazione: Musei vaticani, Stato della Città del Vaticano.
Questo dipinto conservato nella Pinacoteca Vaticana è noto come Madonna di Monteluce poiché è una pala d’altare commissionata nel 1503 a Raffaello dalle Clarisse del convento di Monteluce, presso Perugia.
L’opera doveva raffigurare inizialmente l’Assunzione della Madonna, ma in seguito furono sottoscritti altri due contratti, uno datato al 1505 e l’altro al1516, dove si richiedeva invece che venisse raffigurata l’Incoronazione della Vergine.
Nel 1520 morì Raffaello che non riuscì nemmeno ad iniziare il dipinto, ma lasciò soltanto alcuni disegni preparatori. Nel 1523 fu quindi stipulato un nuovo contratto con i suoi allievi, Giulio Romano e Giovan Francesco Penni, i quali finalmente consegnarono la pala nel 1525.
L’opera è costituita di due parti, realizzate in diverse occasioni e poi riunite: l’ipotesi più probabile è che il pannello superiore con l’Incoronazione della Vergine (probabilmente iniziato a livello di abbozzo da Raffaello) sia opera di Giulio Romano, mentre per la parte inferiore, con gli Apostoli riuniti intorno alla tomba fiorita, si sia riutilizzata una pala di Giovan Francesco Penni, commissionata da Agostino Chigi per la cappella di famiglia in S. Maria del Popolo, ma poi rifiutata.
Donna allo specchio
Datazione: 1523-1524,
misure: cm 111 x 92,
tecnica: olio su tavola trasportato su tela,
collocazione: Museo Puškin, Mosca.
Di chiara ispirazione raffaellesca ed attribuito a Raffaello fino alla metà del XIX secolo, si è persino ipotizzato che questo dipinto potesse essere una libera copia della Fornarina (databile al 1520 circa e conservato nella Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma) ed in effetti nelle due opere si notano alcuni elementi comuni: la postura della donna a tre quarti, il seno e le spalle nude con il velo che la donna regge con la mano destra, il turbante di seta a righe sul capo e il bracciale sul braccio.
Oggi la critica concorda invece sull’autografia di Giulio Romano che deve aver realizzato questo dipinto a Roma, poco prima del suo trasferimento a Mantova avvenuto nel 1524 presso la Corte dei Gonzaga, dove realizza Palazzo Tè.
L’opera rimase a Roma e si ipotizza che sia stata poi completata da Raffaellino del Colle, allievo di Raffaello, e dopo la morte del maestro, collaboratore di Giulio Romano.
Originariamente dipinta su tavola e trasferita su tela nel 1840, è un’opera che raffigura una scena della vita quotidiana, lontana dalle tinte religiose e allegoriche tipiche delle espressioni artistiche dell’epoca.
Non è nota l’identità della donna ritratta: il dipinto che dal 1930 è nel museo Puskin di Mosca confluì nel 1839 nelle collezioni del museo dell’Hermitage come Ritratto della giovane Beatrice d’Este, duchessa di Ferrara.
Si trattò, però di un’erronea identificazione poiché Beatrice d’Este, tra l’altro duchessa di Milano e non di Ferrara, in quanto era già morta nel 1497, mentre il ritratto è databile al secolo successivo. Inoltre, nessuna nobildonna a quel tempo, eccetto nel caso di cortigiane, si sarebbe mai fatta ritrarre nuda.
Più tardi il dipinto fu conosciuto come Ritratto di Lucrezia Borgia, figlia di papa Alessandro VI e consorte del duca di Ferrara Alfonso I d’Este.
Non è esclusa tuttavia l’ipotesi che la persona ritratta sia la stessa che ritroviamo nella celebre Fornarina di Raffaello ovvero Margherita Luti, figlia di un fornaio di Trastevere (da cui il titolo dell’opera), amante e modella di Raffaello.
Sacra Conservazione con i Santi Marco e Giacomo (Pala Fugger)
Datazione: 1523-1524 circa,
misure: cm 111 x 92,
tecnica: olio su tela,
collocazione: chiesa di Santa Maria dell’Anima, Roma.
La Sacra conversazione con i Santi Marco e Giacomo è la pala dell’altare maggiore della Chiesa di Santa Maria dell’Anima a Roma, nei dintorni della centralissima Piazza Navona.
L’opera è nota anche come Pala Fugger perché fu commissionata dal facoltoso banchiere tedesco Jacob Fugger a Giulio Romano, presumibilmente tra il 1521 ed il 1524, anno del trasferimento dell’artista a Mantova.
Jacob Fugger, banchiere del re Carlo V d’Asburgo, volle e finanziò questo dipinto per la cappella di famiglia ovvero la terza cappella sul lato destro della chiesa di Santa Maria dell’Anima, chiesa nazionale tedesca: in questa cappella furono sepolti i suoi parenti Giacomo e Marco Fugger e questo spiega il motivo per cui nella pala d’altare sono raffigurati i Santi Marco e Giacomo.
Successivamente la cappella fu decorata dal pittore dal pittore manierista Girolamo Siciolante da Sermoneta con una serie di affreschi raffiguranti le Storie della Vergine e nel Settecento la pala d’altare di Giulio Romano fu spostata sull’altare maggiore della Chiesa di Santa Maria dell’Anima, dove è tuttora conservata.
Nel dipinto sono presenti al centro la Madonna con il Bambino, in trono, mentre sul lato sinistro vi sono San Giuseppe e San Giovannino e sul lato destro San Giacomo e San Marco Evangelista con un leone adagiato ai suoi piedi.
Nella parte alta dell’opera compaiono dei piccoli putti che reggono una tenda. Sullo sfondo, in prospettiva, è raffigurato un antico portico romano coperto, a forma circolare.
Opera che mostra richiami all’arte di Raffaello, questa Sacra di Conversazione del suo allievo e collaboratore Giulio Romano, presenta diversi elementi ripresi dal Maestro: l’uso acceso del chiaroscuro, il violento contrasto tra luce e ombre, l’ordine e la divisione architettonica dello spazio e la posizione e le sembianze della figure rappresentate.
Due amanti
Datazione: 1523-1524 circa,
misure: cm 163 x 337,
tecnica: olio su tavola trasportato su tela,
collocazione: Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo.
Opera di dimensioni monumentali, probabilmente realizzata a Roma, su commissione di Federico Gonzaga, poco prima della partenza di Giulio Romano per Mantova: vi ritroviamo raffigurata una scena erotica dove due amanti sono spiati da un’anziana donna che si affaccia sulla destra.
La scena si concentra su un letto dove troviamo sdraiato un giovane seminudo al quale si abbraccia una donna anche lei seminuda: è identificabile come una cortigiana sulla base degli accessori che indossa ovvero un bracciale dorato al braccio, una cinghia bianca fra i capelli ed orecchini di perle.
Con la gamba destra, la donna scivola sopra un tavolino su cui sono ripiegate le sue bianche vesti, mentre con la mano destra scioglie la treccia dorata dell’uomo e con la mano sinistra solleva il panno che cinge i fianchi del giovane.
La posa dell’uomo è simmetrica a quella della donna: anche la sua gamba destra scivola fuori dal letto su uno sgabello con delle ciabatte nere, il gomito destro affonda nei cuscini e con il braccio sinistro avvolge il fianco della giovane.
A terra è rannicchiato un gattino impaurito, un espediente visivo che Giulio Romano aveva già usato nella Madonna della gatta.
Villa Lante al Gianicolo, Roma
Situata sul colle romano del Gianicolo, Villa Lante fu costruita tra il 1518 ed il 1525, su commissione di Baldassare Turini, funzionario di origine toscana, datario e segretario dei Papi Leone X e Clemente VII, che desiderava un casino estivo per sfuggire alla calura della città.
Il progetto architettonico è di Giulio Romano che, nelle decorazioni, si valse della collaborazione degli artisti Giovanni da Udine, Polidoro da Caravaggio, Vincenzo Tamagni e Maturino, realizzando così un’opera che è una perfetta armonia di architettura, scultura e pittura.
Da alcune iscrizioni presenti sull’edificio risulta la villa deve essere stata danneggiata nel 1527 durante il Sacco di Roma a opera dei Lanzichenecchi e successivamente deve essere stata oggetto di ricostruzioni terminate nel 1531.
Nota oggi come Villa Lante che prese il nome della famiglia che ne fu proprietaria dal 1551, tra il XIX ed il XX secolo fu abitata da illustri personalità: il noto archeologo tedesco Wolfgang Helbig e sua moglie, la principessa russa Nadine Schahawskoy, che ne fecero un salotto culturale frequentato da nobili e reali, letterati e musicisti di riguardo, tra cui Carducci, D’Annunzio, Tolstoj e Wagner.
Nel 1950 la proprietà fu venduta allo Stato di Finlandia, che lo destinò a sede della sua Ambasciata presso la Santa Sede e dell’Institutum Romanum Finlandiae.
Costruita sui resti di una precedente villa romana (forse quella di Marziale), Villa Lante è ritmata da una partitura architettonica costituita da un ordine tuscanico, da un ordine ionico al primo piano e da un attico con semplici riquadri.
Elementi di particolare rilievo artistico sono la facciata rinascimentale, con adattamenti successivi, il grande salone di ricevimento e la splendida loggia, aperta sul panorama cittadino, con raffinati stucchi attribuiti a Giovanni da Udine.
Il vestibolo che immette nel salone è ornato di un Trionfo di Roma di Valentin de Boulogne e, sopra le porte, di altorilievi di Antonio Canova.
Due sale furono affrescate da Vincenzo Tamagni (1525-27), forse su disegno di Giulio Romano, con copie dei ritratti celebri di Raffaello (la Fornarina, la Velata), muse e uomini illustri.
Nel 1837, quando la villa fu acquistata dall’ordine religioso del Sacro Cuore, alcuni degli affreschi del salone con amorini e divinità e storie inerenti al Gianicolo furono ritenuti non adatti per i temi trattati. Furono così staccati e infine acquistati da Henriette Hertz per Palazzo Zuccari.
Villa Madama a Monte Mario, Roma
Sulle pendici del colle romano di Monte Mario fu realizzata una villa cinquecentesca nota oggi come Villa Madama in onore di Margherita d’Austria, figlia dell’imperatore Carlo V e sposa prima di Alessandro de’ Medici e poi di Ottavio Farnese.
L’edificio fu commissionato da Papa Leone X e dal cugino Giulio Zanobi a Raffaello: il Papa aveva acquistato il terreno ma ufficialmente il committente era Giulio, di modo che la villa fosse proprietà della famiglia Medici piuttosto che della Santa Sede.
Ai lavori per la costruzione della villa vi presero parte Antonio da Sangallo, che si occupò dell’esecuzione del progetto, Giulio Romano, autore delle decorazioni insieme con Baldassarre Peruzzi e Giovan Francesco Penni, Giovanni da Udine che si occupò degli stucchi, e lo scultore Baccio Bandinelli.
Nel 1520 i lavori subirono un’interruzione a causa della prematura morte di Raffaello e ripresero nel 1524 con l’elezione del cugino di Papa Leone X, Giulio Zanobi, che fu eletto Papa il nome di Clemente VII.
Dopo essere stata devastata nel 1527 durante il sacco di Roma, la villa fu in parte restaurata e integrata, ma mai portata a termine. Del progetto di Raffaello resta quindi soltanto la parte settentrionale.
Acquistata poi dai Farnese e successivamente diventati proprietari i Borboni, la villa e il giardino fu per un periodo in stato di abbandono.
Nel 1913 Villa Madama fu acquistata dall’ingegnere francese Maurice Bergès, che incaricò Marcello Piacentini di restaurarla. Nel 1925 la proprietà passò all’ereditiera americana Dorothy Caldwell-Taylor, contessa di Fasso, che portò a termine il progetto di restauro. A Marcello Piacentini si devono la costruzione del secondo piano e la scala elicoidale in travertino in stile rinascimentale che conduce al piano nobile.
Di proprietà del Ministero degli Affari Esteri dal 1941, Villa Madama è oggi sede di rappresentanza del Ministero e della Presidenza del Consiglio.
La villa conserva la loggia progettata da Raffaello ispirandosi all’architettura delle terme romane, decorata dagli stucchi di Giovanni da Udine e dalle pitture di Giulio Romano.
Ovunque sono visibili le grottesche che i due artisti utilizzarono dopo averle riscoperte negli scavi della Domus Aurea.
Oltre alla loggia, l’elemento artistico rilevante è il salone con il soffitto a volta, anch’esso decorato da Giulio Romano. Davanti al loggiato, il giardino all’italiana conserva ancora la Fontana dell’Elefante, realizzata da Giovanni da Udine, che ricorda l’elefante indiano Annone, portato a Roma dall’ambasciatore del Portogallo per la consacrazione di Leone X, nel 1514; ai lati dell’ingresso che dalla terrazza conduce al giardino rustico si trovano due giganti in stucco realizzati da Baccio Bandinelli.
Palazzo Maccarani Stati a piazza Sant’Eustachio, Roma
Nelle sue Vite, Giorgio Vasari riferiva che nel 1521 il Conservatore di Roma, Cristoforo Stati (1498-1550), appartenente all’antico casato romano degli Stati Tomarozzi, con il denaro della dote della moglie Faustina Cenci, affidò la ristrutturazione di alcune proprietà familiari nell’odierna piazza S. Eustachio all’amico Giulio Romano.
L’artista realizzò quindi, tra il 1519 ed il 1524, un palazzo che nella struttura, seppur semplificata, si ispirava al Palazzo Caprini del Bramante: il palazzo fu chiamato inizialmente Palazzo Stati Cenci, poi divenne Palazzo Maccarani Stati: nel 1786 passò infatti alla famiglia Maccarani, imparentata con gli antichi proprietari.
Nel 1972 l’edificio fu acquisito dal Demanio statale e fu assegnato, in virtù della sua vicinanza, al Senato della Repubblica. Il palazzo è collegato a Palazzo Madama da un sottopassaggio pedonale, durante la cui costruzione fu trovata una porzione delle antiche Terme di Nerone, che fu lasciata al suo posto. Attualmente nel palazzo sono ubicati studi di senatori, servizi ed uffici dell’amministrazione.
La facciata su piazza S. Eustachio presenta un piano terreno bugnato in cui si aprono un portale con due lesene a bugne che ritornano nel timpano triangolare e quattro porte di rimessa; sopra si trova l’ammezzato con quattro finestre a riquadratura semplice.
Sia le aperture del mezzanino che delle botteghe sono allungate orizzontalmente per cui i conci giganti che le sovrastano sembrano sospesi tra questi blocchi dando un senso di precarietà (aumentata dalla pesante cornice marcapiano continua che poggia su blocchi verticali di bugnato) come avviene nel coevo Palazzo Massimo alle Colonne.
Al primo piano ci sono cinque finestre a timpani centinati e triangolari, alternati, e al secondo altrettante ad archi ribassati. La decorazione architettonica prosegue allo stesso modo sui lati dell’edificio che affacciano su via dei Caprettari e via del Teatro Valle.
Sul lato destro è visibile una sopraelevazione ottocentesca. Dal portale principale si accede ad un cortile, asimmetrico per la necessità di rispettare alcune strutture precedenti.
Il lato d’entrata presenta tre arcate su pilastri con lesene doriche e al di sopra due loggiati: il primo piano con lesene ioniche, il secondo con colonne corinzie. Gli altri lati sono spartiti da lesene doriche. Sul lato destro, inoltre, si trova una piccola fontana con una colonna.
Palazzo Te, Mantova
Il progetto per la realizzazione di Palazzo Te a Mantova fu commissionato da Federico II Gonzaga a Giulio Romano che lo realizzò tra il 1525 ed il 1535.
Il nome della villa deriva dall’isola su cui sorse, chiamata sin dal Medioevo Tejeto (forse da tiglieto, bosco di tigli o, secondo un’altra ipotesi, da tegia, dal latino attegia, che significa capanna)
Federico II volle trasformare il luogo dove sorgevano le antiche scuderie della famiglia Gonzaga, in una sorta di “villa di rappresentanza”, destinata tanto ai sontuosi ricevimenti quanto ai segreti convegni amorosi con la donna amata Isabella Boschetti.
La villa sorse anche per l’esigenza del signore di crearsi uno spazio privato, fuori dall’immensa reggia, ma in fondo al giardino egli volle anche uno spazio privatissimo, l’appartamento detto della Grotta.
Il palazzo è un edificio a pianta quadrata con al centro un grande cortile quadrato che era un tempo decorato con un grande labirinto con quattro entrate sui quattro lati. Giulio Romano si ispira nell’impianto alla descrizione vitruviana della casa di abitazione: la domus romana con quattro entrate, ciascuna su uno dei quattro lati.
Insolite sono le proporzioni dell’edifico che si presenta come un largo e basso blocco, a un piano solo, la cui altezza è circa un quarto della larghezza.
Il complesso è simmetrico secondo un asse longitudinale e sul lato principale dell’asse (a nord-ovest) l’apertura di ingresso è un vestibolo quadrato, con quattro colonne che lo dividono in tre navate.
La navata centrale è coperta da una volta a botte, mentre le due navate laterali hanno un soffitto piano, seguendo la maniera dell’atrium descritto da Vitruvio e che tanto ebbe successo nei palazzi italiani del Cinquecento.
L’entrata principale (a sud-est) verso la città e il giardino è una loggia, la cosiddetta Loggia Grande, all’esterno composta da tre grandi arcate su colonne binate a comporre una successione di serliane che si specchiano nelle piccole peschiere antistanti.
La balconata continua al secondo registro, sulla parte alta della facciata era in origine una loggia; questo lato del palazzo fu infatti ampiamente rimaneggiato alla fine del ‘700, quando fu aggiunto anche il frontone triangolare che sormonta le grandi serliane centrali.
Le facciate esterne sono su due registri, uniti da paraste lisce doriche di ordine gigante. Gli intercolumni variano secondo un ritmo complesso.
Pare che l’esterno del palazzo fosse in origine dipinto, ma di tale decorazione, oggi non c’è più traccia: si conservano invece gli affreschi interni realizzati da Giulio Romano e da molti collaboratori.
Oltre agli affreschi le pareti erano arricchite da tendaggi e applicazioni di cuoio dorate e argentate, le porte di legni intarsiati e bronzi e i caminetti costituiti di nobili marmi.
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