Giuseppe Sanmartino nacque a Napoli nel 1720: ignoto il nome della madre, mentre sappiamo che il padre si chiamava Nunziante.
Iniziò a lavorare come scultore forse con il fratello Felice, ingegnere della Real Camera di Sommaria o forse presso la bottega di Matteo Bottigliero.
Nelle sculture di Giuseppe Sanmartino si riscontra la rielaborazione della grande tradizione barocca locale, aggiornata sull’eclettismo di Domenico Antonio Vaccaro e sulle tendenze rococò di Giacomo del Po.
Non sono note le prime opere giovanili dello scultore se si escludono i due «bottini» di marmo, oggi perduti, realizzati nel 1746, per conto del marmoraro Antonio di Lucca. Le prime opere note, tuttora esistenti, sono le statue di San Giuseppe e di San Michele Arcangelo realizzate nel 1750, per la cattedrale di Monopoli, con la collaborazione di Giovanni Cimafonte.
Di poco successivi, databili agli anni 1750-1752, sono i due ovali di marmo con S. Giuseppe col Bambino e la Madonna col Bambino della chiesa napoletana del Divino Amore.
Capolavoro dell’artista nonché la scultura per la quale è principalmente noto al grande pubblico, è il Cristo velato: firmato e datato all’anno 1753, si può ammirare nella cappella Sansevero a Napoli.
L’opera, di notevole maestria nella resa pittorica del sudario marmoreo, fu realizzata per volontà del settimo principe di Sansevero, Raimondo di Sangro, che la fece collocare al centro dei rimandi esoterici e simbolici che caratterizzano il monumento impostato pure secondo quei principi della massoneria della quale il committente era granmaestro.
Il 28 giugno 1756 l’artista iniziò a lavorare con Francesco Pagano e fino al 22 dicembre 1758 si spartirono diverse commesse: tra queste gli Angeli scolpiti per la porta d’ingresso all’altare maggiore della chiesa del Gesù Nuovo.
Nel 1757 Giuseppe Sammartino venne incaricato di eseguire alcuni lavori per la chiesa della certosa di S. Martino: sue sculture sono nella cappella dell’Assunta dove sono collocate la Verginità e il Premio, e in quella del santo titolare, dove sono invece la Carità, la Fortezza, Putti e Cherubini. Tutti questi lavori furono eseguiti con l’ausilio dall’ingegnere Nicola Tagliacozzi Canale.
Nel 1757 Sammartino fu tra gli scultori partecipanti al concorso bandito per la realizzazione di un monumento equestre da collocarsi nella piazza di S. Spirito a Napoli, dedicato a Carlo di Borbone per la piazza di S. Spirito a Napoli: fu prima scelto il modello di Giuseppe Canart, successivamente, nel 1760, quello di Francesco Maria Queirolo, che morì senza riuscire a portare a termine il lavoro.
Ripresi i contatti con Raimondo di Sangro, Sanmartino avviò i lavori della decorazione dell’androne del palazzo del principe: su suoi disegni e modelli, nel 1758 Gerardo Solifrano realizzò in stucco i Dieci bassorilievi con scene bacchiche e trionfi militari.
Nel medesimo anno sono inoltre documentati alcuni pagamenti ricevuti da Giuseppe Sammartino per opere di stucco realizzate per la chiesa dei Santi Filippo e Giacomo, sede dell’Arte della seta.
Entro l’ottobre del 1759, Sanmartino terminò di scolpire i Simboli dei quattro Evangelisti e dell’Agnello sacrificale nel paliotto dell’altare maggiore della chiesa napoletana di Santa Maria delle Grazie a Toledo, progettato dall’ingegnere Michelangelo Porzio, con l’intervento dello scultore Francesco Pagano per la parte decorativa.
Altra opera scultorea di Sanmartino eseguita a Napoli, fu il sepolcro del marchese Alessandro Rinuccini realizzato tra il 1758 e il 1759: progettato da Ferdinando Fuga, già nella chiesa di Santa Maria dell’Avvocata, è attualmente nella chiesa di San Domenico Soriano.
Tra il 1760 e il 1761, nella chiesa napoletana di Sant’Agostino alla Zecca, realizzò il monumentale complesso in stucco di Sant’Agostino che calpesta l’Eresia, con ai lati le statue della Fede e della Carità, angeli e cherubini, la Trinità e due busti di santi vescovi. Tutte opere concepite per l’altare maggiore, mentre per le nicchie della controfacciata scolpì le statue di San Gregorio Magno e di San Leone Magno, datate all’anno 1762.
A partire dal 1763, assieme ad altri scultori, Sanmartino si occupò della realizzazione della balaustra dell’emiciclo del Foro Carolino per la quale scolpì tre delle Virtù di marmo che avrebbero dovuto fare da quinta a un monumento di Carlo di Borbone, in fase di progettazione.
Nel 1764 per il succorpo della chiesa napoletana dell’Annunziata realizzò in terracotta la statua di San Lazzaro e in stucco la Gloria di putti e cherubini, collocata attorno alla scultura marmorea della Vergine con il Bambino di Domenico Gagini. Su base stilistica sono stati inoltre attribuiti a Sanmartino, un gruppo di Putti con i simboli di s. Francesco Saverio della chiesa di S. Ferdinando, databili al 1765 circa.
Sono invece documentati i due Putti che abbracciano uno scudo crocifero, terminati nel 1767, che erano nella chiesa dei Ss. Marcellino e Festo, poi rubati e che nel 1768 la bottega ripropose nell’altare della cappella Sarriano collocata all’interno della chiesa di Santa Maria delle Grazie a Caponapoli.
Sempre nel 1767 scolpì anche uno dei due Angeli reggifiaccola per i capialtare dell’altare maggiore della cattedrale di Foggia.
Nel 1768, riutilizzando preesistenti disegni di Francesco Solimena, scolpì i due Angeli reggifiaccola di cartapesta e stucco dorato ai lati dell’altare maggiore nella chiesa della certosa di San Martino.
Nel 1769 lo scultore fu attivo nella sagrestia della demolita chiesa di San Luigi di Palazzo, progettata da Luigi Vanvitelli: non sono note le opere realizzate da Sanmartino che, tuttavia, probabilmente scolpì delle statue in stucco.
Un primo contatto di Sanmartino con la città di Taranto si data al 1770, quando l’artista allestì all’interno della cattedrale il paliotto dell’altare della cappella del Sacramento con Due putti che cingono uno scudo a croce e ai lati Due putti reggimensola, schema compositivo che il maestro adottò nel 1771 anche per l’altare maggiore della chiesa dell’Eremo di Visciano di Nola.
Nel 1771 il vescovo di Martina Franca, Francesco Saverio Stabile, commissionò all’artista, la realizzazione delle due statue ai lati dell’altare maggiore della collegiata di San Martino, l’Abbondanza e la Carità.
A partire dal 1772 iniziò invece la decorazione del cappellone di S. Cataldo della cattedrale di Taranto dove, su incarico del vescovo Francesco Saverio Mastrilli, scolpì le statue di San Domenico, San Filippo Neri, San Francesco d’Assisi, San Francesco di Paola, Sant’ Irene e Santa Teresa d’Avila nelle nicchie del vano principale, terminate nel 1773 e tra i culmini della sua produzione.
Sempre nel 1772 Sanmartino fu tra i prescelti dell’architetto Luigi Vanvitelli come professore di scultura dell’Accademia di belle arti di Napoli.
Successivamente Sanmartino scolpì vari ritratti funerari: tra il 1776 e il 1778 l’artista realizzò il ritratto del cardinale Antonino Sersale nel duomo di Napoli, racchiuso in un tondo sostenuto da uno dei due putti asimmetricamente disposto sul sarcofago.
Nel 1776 scolpì la memoria funeraria dell’illustre erudito Alessio Simmaco Mazzocchi per la basilica di Santa Restituta, dove è conservato pure il monumento funebre del canonico Giuseppe Simeoli, anch’esso attribuito a Sanmartino, e terminato attorno al 1780.
Sempre nel 1776 l’artista scolpì per la chiesa dei Santi Apostoli il deposito del giureconsulto Vincenzo Ippolito. Entro lo stesso anno Sanmartino concluse i Santi Pietro e Paolo della facciata della chiesa dei Girolamini, opere già sbozzate da Cosimo Fanzago.
Agli anni 1775-1778 risale inoltre il busto del padre domenicano Gregorio Maria Rocco, realizzato in terracotta.
Nel 1776 Sanmartino terminò di scolpire la statua di Papa Pio VI per l’abbazia di Casamari.
Sanmartino, ormai molto attivo e noto a Napoli, lavorò anche presso la corte dei Borbone, per i quali realizzò i due putti della memoria funebre di Filippo di Borbone primogenito del re Carlo, progettata da Ferdinando Fuga per la basilica di S. Chiara, opere datate al 1777.
Notevole fu pure l’attività presepiale di Sanmartino: molto apprezzata già ai suoi tempi, nel 1811 Pietro Napoli Signorelli stimò il valore del maestro «nel formar vaghe e naturali teste di pastori di vario carattere ed età differente ed angeli bellissimi e divotissime figure di Maria e Giuseppe».
L’artista morì all’età di 73 anni il 12 dicembre 1793 e fu sepolto nella chiesa di S. Efremo Nuovo.
Opere di Giuseppe Sanmartino
Busto di San Vincenzo Ferreri, 1750 circa, argento, esecuzione di Francesco Manzone, opera perduta,
San Michele arcangelo, 1751, statua in marmo, h. cm 158, cattedrale di Monopoli,
Cristo velato, 1753, statua in marmo, h cm 220, Cappella Sansevero, Napoli,
Sculture per l’altare maggiore, 1750-1760, marmo, chiesa della Nunziatella, Napoli,
Busto di San Domenico, 1750-1760, argento e rame dorato, h cm 88, cappella del Tesoro di San Gennaro, Napoli,
Busto di Santa Maria Maddalena Penitente, 1757, argento e rame dorato, h cm 100, esecuzione di Filippo del Giudice, cappella del Tesoro di San Gennaro, Napoli,
Statue della Verginità e del Premio, quattro coppie di putti “aggruppati”; gruppi di cherubini, teste reggimensola, 1757-1758, cappella di San Martino, chiesa di San Martino, Napoli,
Baccanali, 1758, dieci bassorilievi in stucco eseguiti da Gerardo Solifrano, Palazzo Sansevero, Napoli,
Sculture per l’altare maggiore, 1758, marmo, opere realizzate su disegno dell’ingegnere Michelangelo Porzio, chiesa di Santa Maria delle Grazie, Toledo,
Monumento Rinuccini, 1759, marmo, eseguito su disegno di Ferdinando Fuga, chiesa di San Domenico Soriano (già in S. Maria dell’Avvocata),
Statue dei Santi Filippo e Giacomo, 1759, stucco, h cm 300 circa, chiesa dei Santi Filippo e Giacomo (zona inferiore della facciata),
Quattro putti con i simboli di San Francesco Saverio, 1760 circa, h cm 120, chiesa di San Ferdinando (già di San Francesco Saverio), Napoli,
Coppia di angeli, 1760, marmo, chiesa del Gesù Nuovo (lato epistola), Napoli,
Gruppo di Sant’Agostino che calpesta l’Eresia con ai lati le statue della Fede e della Carità, angeli e cherubini, la Trinità, due busti di santi vescovi, 1760-1761, stucco, chiesa di Sant’Agostino alla Zecca, Napoli,
Angeli reggifiaccola dell’altare maggiore, 1761, marmo, h cm 135, chiesa di San Francesco d’Assisi, ora Sant’Antonio, Maddaloni,
Statue di San Gregorio Magno e di San Leone Magno, 1762, stucco, h cm 250, chiesa di Sant’Agostino alla Zecca, Napoli,
Statua di San Lazzaro, 1764, terracotta, h cm 158, chiesa della Santissima Annunziata, Napoli,
Quattro statue allegoriche delle Virtù di Carlo di Borbone per il Foro Carolino, 1764, marmo, piazza Dante, Napoli,
Testa di serafino con le ali, 1766, stucco, altare di San Giovanni, succorpo della chiesa della Santissima Annunziata,
Gloria di putti e serafini, 1766, stucco, succorpo della chiesa della Santissima Annunziata, Napoli,
Paliotto dell’altare di San Benedetto, 1766, marmo, già nella chiesa dei Santi Marcellino e Festo, Napoli,
Sculture per l’altare maggiore, 1767, marmo, cattedrale di Foggia,
Angeli reggifiaccola dell’altare maggiore, 1768, stucco dorato, h. cm 160, chiesa della certosa di San Martino, Napoli,
Paliotto con putti, 1768, marmo, chiesa di Santa Maria delle Grazie a Caponapoli, Napoli,
Teste di cherubini capialtare, 1769, marmo, congregazione della Santissima Concezione, Maddaloni,
Sculture per l’altare della cappella del Santissimo Sacramento, 1770, marmo, cattedrale di Taranto,
Statue della Carità e dell’Abbondanza, 1772, marmo, chiesa di San Martino, Martina Franca,
Putti e cherubini, 1772, marmo, chiesa di San Martino, Martina Franca,
Statue dei Santi Pietro e Paolo, 1773, chiesa dei Girolamini, Napoli, completamento delle sculture sbozzate dal Fanzago,
Statue dei Santi Filippo Neri, Francesco di Paola, Teresa d’Avila e Irene, 1773, marmo, h. cm 184, cappellone di San Cataldo, cattedrale di Taranto,
Pietà con putto piangente,, 1770-1780, terracotta policroma, convento dei Girolamini, Napoli,
Statua di Papa Pio VI, 1776, marmo, h. cm 200, abbazia di Casamari,
Statua di San Vito, 1787 argento e rame dorato, h. cm 135 senza la base, chiesa di San Vito, Forio d’Ischia, esecuzione di Giuseppe e Gennaro del Giudice,
Gruppo dell’Arcangelo Raffaele col Tobiolo, 1797, argento e rame dorato, h. cm 167, cappella del Tesoro di San Gennaro, Napoli, esecuzione di Giuseppe e Gennaro del Giudice.
Opere di Giuseppe Sanmartino
Cristo velato
Datazione: 1753,
misure: h cm 220,
tecnica: statua in marmo,
collocazione: Cappella Sansevero, Napoli.
Opera realizzata da Giuseppe Sanmartino per la Cappella Sansevero a Napoli, il Cristo velato, una delle opere più famose e suggestive, doveva essere inizialmente scolpita da Antonio Corradini, ma morì nel 1752, riuscendo solo a eseguire un bozzetto in terracotta, attualmente conservato nel Museo di San Martino.
Il principe Raimondo di Sangro commissionò così a Giuseppe Sanmartino di scolpire l’opera: l’artista realizzò un Cristo velato stilisticamente nuovo, imprimendo alla scultura un movimento diverso da quello del precedente bozzetto di Antonio Corradini.
Sanmartino tenne poco conto del precedente bozzetto dello scultore veneto. In quest’opera marmorea di Sanmartino, il corpo senza vita di Cristo risulta scarnificato, le pieghe del velo imprimono ritmi tormentati, enfatizzando la drammaticità della composizione, mettendo in risalto il corpo martoriato.
Si notano così dettagli estremamente realistici quali i segni dei chiodi sulle mani e sui piedi, il costato scavato e rilassato, la vena gonfia e ancora palpitante sulla fronte.
Sin da quando fu scolpita quest’opera, furono molte le persone che vennero appositamente a contemplare questo miracolo dell’arte, rimanendone sconcertate e rapite. Tra queste, ci fu pure lo scultore Antonio Canova, che voleva acquistarla e si racconta che poi avrebbe affermato che avrebbe dato dieci anni di vita pur di essere l’autore di questo capolavoro.
Numerose furono poi le leggende fiorite attorno alla figura del principe Raimondo di Sangro, noto alchimista e audace sperimentatore, nonché committente del Cristo velato: una di queste riguarda quest’opera perché da oltre duecentocinquant’anni, infatti, viaggiatori, turisti e perfino alcuni studiosi, increduli dinanzi alla trasparenza del sudario, lo hanno erroneamente ritenuto frutto di un processo alchemico di “marmorizzazione” compiuto dal principe di Sansevero.
In realtà da un’osservazione scrupolosa, si può constatare che il Cristo velato è un’opera interamente in marmo, ricavata da un unico blocco di pietra: ciò è tra l’altro confermato da alcuni documenti dell’epoca, tra i quali quello conservato presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli, dove si riferisce di un acconto di cinquanta ducati a favore di Giuseppe Sanmartino, firmato dal principe Raimondo di Sangro (il costo complessivo della statua ammonterà alla ragguardevole somma di cinquecento ducati).
Nel documento, datato 16 dicembre 1752, il principe scrive esplicitamente: “E per me gli suddetti ducati cinquanta gli pagarete al Magnifico Giuseppe Sanmartino in conto della statua di Nostro Signore morto coperta da un velo ancor di marmo…”.
Il principe, spedendo delle lettere al fisico Jean-Antoine Nollet e all’accademico della Crusca Giovanni Giraldi, lasciò pure una descrizione del Cristo velato, specificando come fu “realizzato dallo stesso blocco della statua”.
Anche Giangiuseppe Origlia, il principale biografo settecentesco del principe, ricordava che il Cristo è “tutto ricoverto d’un lenzuolo di velo trasparente dello stesso marmo”.
Il Cristo velato è, dunque, un capolavoro dell’arte barocca, uscito esclusivamente dallo scalpello di Sanmartino, grazie alla fiducia accordatagli dal suo committente. Il fatto che l’opera fu scolpita con un unico blocco di marmo, senza l’aiuto di alcuna escogitazione alchemica, conferisce alla statua un fascino ancora maggiore.
Gruppo di Sant’Agostino che calpesta l’Eresia con ai lati le statue della Fede e della Carità, angeli e cherubini, la Trinità, due busti di santi vescovi
Datazione: 1760-1761,
tecnica: stucco,
collocazione: chiesa di Sant’Agostino alla Zecca, Napoli.
Tra gli anni 1760-1761 Giuseppe Sanmartino realizzò diverse opere in stucco per la chiesa di Sant’Agostino della Zecca a Napoli: nell’abside realizzò un’opera monumentale che presenta una composizione piramidale, inondata da luce naturale, dove è raffigurato Sant’Agostino che calpesta l’Eresia e, ai lati, le figure allegoriche della Fede e della Carità.
Il santo mostra una maestosa gestualità, un vigore, una finezza di modellato e indossa sulla testa un piviale che sembra appena uscito da una di quelle botteghe orafe che lavoravano per Sanmartino.
Guardando poi l’Eresia che, urlando, si strappa i capelli, si riscontrano vari modelli culturali elaborati da Sanmartino e in particolare quelli dei più grandi Maestri della scultura romana quali Gian Lorenzo Bernini e Camillo Rusconi.
D’ispirazione berniniana è non solo l’Eresia, ma anche la statua di Sant’Agostino, mentre la figura della Fede mostra invece piuttosto riferimenti alla statuaria antica.
Di notevole poeticità è infine la figura della Carità che mostra similitudini con le tante figure femminili elaborate da Sanmartino per i suoi presepi.
Angelo
Datazione: seconda metà del XVIII secolo,
misure: h. cm 43,8,
tecnica: testa in terracotta policroma, arti e ali di legno, corpo di filo avvolto in stoppa, tessuti vari,
collocazione: Metropolitan Museum, New York.
Nel 1964 Loretta Hines Howard donò al Metropolitan Museum di New York, più di centoquaranta presepi napoletani, realizzati nella seconda metà del Settecento.
In queste opere troviamo realizzate le ambientazioni tradizionali di un presepio napoletano: la Natività, con angeli, pastori e pecore; il corteo dei tre Magi, con il loro variopinto seguito di attendenti; e la folla varia e gaia di contadini e di città che affollava la taverna, o locanda, di Betlemme, l’albergo menzionato da San Luca, dove nella notte santa non c’era posto per Maria e Giuseppe.
Le statue presentano corpi fatti di stoppa e filo, le braccia e le gambe sono finemente scolpite nel legno, la testa e le spalle sono modellate in terracotta e accuratamente rifinite. Il loro abbigliamento, spesso arricchito da accessori, gioielli e ricami, fa parte del folklore e dei costumi settecenteschi.
Secondo una tradizione che sembra avvalorata da confronti stilistici con figure delle collezioni napoletane e del vasto patrimonio del Museo Nazionale Bavarese di Monaco, alcune delle simpatiche teste degli angeli sono da attribuire a Giuseppe Sammartino e ai suoi allievi, Salvatore di Franco, Giuseppe Gori e Angelo Viva, e una Lorenza Mosca (morta nel 1789), che fu attiva presso la Real Fabbrica di Porcellane di Capodimonte e la regia del Presepe Reale.
Presepio
Datazione: seconda metà del XVIII secolo,
misure: cm 30-40 (altezza delle figure),
tecnica: maiolica smaltata, dipinta, legno, stoppa,
collocazione: Bayerisches Nationalmuseum, Monaco di Baviera.
Max Schmederer, il collezionista di presepi di Monaco di Baviera, di fama mondiale, acquistò le figure di questo presepe prima del 1900 in un’asta di oggetti che appartenevano all’ex casa reale di Borbone-Sicilia.
Nel 1904 le donò al Bayerisches Nationalmuseum, complessi unici e spettacolari con i più fini dettagli decorativi, noti come finimenti, come, ad esempio, il “Corpo musicale turco” – una vera Adorazione dei Magi.
L’esotismo e lo splendore in mostra rendono chiaro come il mecenate e l’artista qui abbiano creato un’immagine contraria alla storia biblica: la stalla di Betlemme è diventata un palazzo barocco in marmo con un vasto entourage dall’aspetto orientale.
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