Mattia Preti nacque a Taverna, in Calabria, il 25 febbraio 1613 da Cesare e da Innocenza Schipano. Terzo di sei figli, aveva un fratello maggiore anch’egli pittore, Gregorio.
Suoi primi biografi furono Pellegrino Antonio Orlandi (1704), Filippo Baldinucci (1728), Lione Pascoli (1736) e il napoletano Bernardo De Dominici (1742-1745) che, sulla base dei ricordi del padre Raimondo e della zia suor Maria, maltesi e allievi in gioventù di Mattia Preti, fornì diverse notizie sull’artista.
Secondo De Dominici, a Taverna Mattia Preti ricevette una prima formazione da Don Marcello Anania, diretto discendente di Gian Lorenzo Anania, famoso erudito del XVI secolo: da Don Marcello Anania, pare quindi che Mattia Preti abbia appreso l’amore per la letteratura classica mentre la sua prima significativa formazione artistica sarebbe avvenuta a Roma.
Certo è che negli anni Trenta del XVII secolo, Mattia Preti era a Roma, assieme al fratello maggiore Gregorio: dai documenti risulta infatti che in quel periodo i due artisti frequentavano l’Accademia di San Luca e nel 1636 presero in affitto, per un anno, una casa nel quartiere di San Biagio a Montecitorio.
In questi anni i fratelli Preti realizzarono assieme la pala della Madonna della Purità per Taverna e presto rivelarono di seguire strade artistiche diverse.
Se Gregorio Preti rimase infatti legato ad un freddo classicismo, il fratello Mattia sviluppò uno stile completamente diverso, aderendo al naturalismo e al chiaroscuro caravaggesco.
Va notato come quasi mai Mattia Preti utilizzò i gesti licenziosi tipici delle scene da osteria, dipinte dai bamboccianti e da altri seguaci olandesi di Caravaggio.
Nelle prime tele di Mattia Preti, non esenti da qualche giovanile errore tecnico, sono raffigurate scene bibliche dove i personaggi sono raffigurati con particolare intensità e penetrazione psicologica.
Nonostante sia stata spesso richiamata l’attenzione sul declino della pittura caravaggesca a Roma, dopo la morte di Valentin de Boulogne, il migliore allievo di Bartolomeo Manfredi, avvenuta nel 1632, le tele caravaggesche di Mattia Preti continuavano ad essere acquistate dai mecenati romani.
Dopo aver realizzato diverse pale d’altare e stretto contatti non meglio noti, forse anche con Donna Olimpia Aldobrandini, principessa di Rossano, Mattia Preti fu incoraggiato a presentare la richiesta di ammissione all’Ordine di San Giovanni a Papa Urbano VIII Barberini, nel novembre del 1641.
Dopo le consuete lentezze burocratiche, Mattia Preti ricevette l’investitura a Cavaliere d’Obbedienza Magistrale in occasione di una cerimonia avvenuta il 31 ottobre 1642.
Nello stesso periodo per Don Taddeo Barberini, Prefetto di Roma, realizzò forse come dono, una pala d’altare che non fu mai collocata in una chiesa e intitolata Santa Caterina visitata in prigione dall’Imperatrice Faustina.
Caravaggesca, forse destinata a una cappella, ma collocata sin da subito in una galleria privata, è la Crocifissione di San Pietro, databile ai primi anni Quaranta e conservata a Grenoble, nel Musée de Peinture et Sculpture.
Gli anni 1635-1640 sono una fase di transizione nella quale Mattia Preti abbandonò la raffigurazione di scene in ambienti bui, preferendo quelle all’aperto, ma continuando a usare modelli caravaggeschi: ciò è evidente nella Fuga di Enea da Troia (Galleria Corsini, Roma), Cristo e l’adultera (Zurigo), Il rinnegamento di San Pietro (Galleria Corsini, Roma) e l’Incredulità di San Tommaso (Palazzo Rosso, Genova).
A seguito della morte di Papa Urbano VIII e del tracollo dei Barberini, nel 1643 Mattia Preti lasciò Roma, per compiere un viaggio di studio a Venezia: dall’analisi delle opere realizzate verso la metà degli anni Quaranta, emerge un’evoluzione dell’artista conseguente presumibilmente alla conoscenza di opere di maestri del Rinascimento veneziano quali, in particolare, Tiziano e Veronese. La pala d’altare con Sant’Elena e la Vera Croce, di provenienza sconosciuta, fu probabilmente dipinta per una chiesa veneta.
Dopo essere forse passato per Bologna, tra il 1646 e il 1651 Mattia Preti fu di nuovo a Roma dove il 12 gennaio 1650 firmò il contratto per dipingere le Storie del martirio di Sant’Andrea nella chiesa di Sant’Andrea della Valle: trattasi di tre enormi dipinti tuttora collocati nell’abside che furono inaugurati l’8 aprile del 1651.
Tra l’ottobre del 1651 e la primavera del 1652 Mattia Preti fu a Modena dove dipinse gli affreschi della cupola della chiesa di San Biagio.
Di nuovo a Roma, lavorò poi assieme al fratello Gregorio, nella chiesa di San Carlo ai Catinari dove realizzarono degli affreschi.
Nel marzo del 1653 Mattia Preti lasciò nuovamente Roma e si trasferì a Napoli dove aprì un conto presso il Banco della Pietà.
La terribile peste del 1656 non ostacolò in nessun modo la produttività dell’artista che continuò a ricevere diverse commissioni, raffigurando anche scene di martìri di santi.
Tornato per breve tempo a Roma, tra il dicembre del 1660 e l’estate del 1661, affrescò la Stanza dell’Aria a Valmontone nell’aprile del 1661 e poco dopo fu a Malta dove decorò l’abside della chiesa di San Giovanni a La Valletta col dipinto del San Giovanni Battista ricevuto dalla Santa Trinità. Nella stessa chiesa affrescò pure la volta e la facciata interna. Inoltre, dipinse diverse pale d’altare per le chiese maltesi.
Tra gli anni ’60 e ’70 del XVII secolo, notevole fu la produzione di pale d’altare: tra quelle meglio documentate, è la Predicazione di San Bernardino per il duomo di Siena, due pale d’altare ex-voto con San Rocco per Zurrieq e il ciclo di sette dipinti per la chiesa di Sarria a Floriana.
Negli anni ’80 Mattia Preti realizzò pale d’altare per la nativa Taverna e tra il 1682 e il 1689 si occupò della decorazione della cattedrale di Mdina, a Malta.
Proprio a Malta, Mattia Preti trascorse i suoi ultimi anni, dove continuò a dipingere fino alla fine della sua vita, con l’aiuto dei suoi allievi e assistenti.
Mattia Preti morì a La Valletta il 3 gennaio del 1699: pochi mesi prima, nel 1698, aveva realizzato il dipinto dei Santi Cosma e Damiano, già nella Sacra Infermeria dell’Ordine di San Giovanni.
Opere di Mattia Preti
Rinnegamento di San Pietro, 1630-1635 circa, olio su tela, cm 112×167, Musée des Beaux-Arts, Carcassonne,
Un mendicante cieco condotto da un ragazzo, 1630-1635 circa, olio su tela, cm 120×113, T.P. Grange collection, Londra,
Argentiere, 1635 circa, olio su tela, cm 96,5×132, collezione John Bocchieri, Brooklyn, N.Y.,
Concerto, 1635 circa, olio su tela, cm 107×145,5, Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid,
Cristo e il tributo, 1635 circa, olio su tela, cm 143×193, Pinacoteca di Brera, Milano,
Gesù e i figli di Zebedeo, 1635 circa, olio su tela, cm 143×193, Pinacoteca di Brera, Milano,
L’incredulità di San Tommaso, 1635 circa, olio su tela, cm 123×173, Galleria di Palazzo Rosso, Genova,
Un soldato, 1635 circa, olio su tela, cm 121,5×98,5, collezione privata, Lugano,
Diogene, 1636 circa, olio su tela, cm 95×65, National Trust, Buscot Park (Oxfordshire),
Abramo scaccia Agar e Ismaele, 1635-1640 circa, olio su tela, cm 90×125, Palacio Real, Madrid,
Cristo e il tributo, 1635-1640 circa, olio su tela, cm 147×300, Galleria Doria-Pamphilj, Roma,
Fuga da Troia, 1635-1640, olio su tela, cm 186×154, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Corsini, Roma,
Cristo guarisce il ragazzo indemoniato, 1640 circa, olio su tela, cm 133×123,5, Galleria degli Uffizi, Firenze,
Il perdono di San Giovanni Crisostomo, 1640 circa, olio su tela, cm 244×189, Cincinnati Art Museum, Cincinnati, Ohio,
La crocifissione di San Pietro, 1640 circa, olio su tela, cm 335×242, Musée de Peinture et Sculpture, Grenoble,
La decollazione di San Giovanni Battista, 1640 circa, olio su tela, cm 135×97, National Gallery of Ireland, Dublino,
La resurrezione di Lazzaro, 1640 circa, olio su tela, cm 229×229, Palazzo Rosso, Genova,
La Natività di San Giovanni Battista, 1642 circa, olio su tela, cm ca. 300×200, sacrestia del santuario basilica del Sacro Cuore, Bussana (San Remo),
Sant’Andrea, 1643, olio su tela, cm ca. 250×150, Hofkirche, Lucerna,
Rinnegamento di San Pietro, 1644 circa, olio su tela, cm 126×97, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Corsini, Roma,
La liberazione di San Pietro, 1645 circa, olio su tela, cm 145,5×197,5, Fondazione Thyssen-Bornemisza, Lugano,
La vendetta di Progne, 1645 circa, olio su tela, cm 146×198, Museo Civico “Giulio Ferrari”, Carpi,
Lo stendardo della confraternita del S.S. Sacramento, 1649, olio su tela, cm 268×203, abbazia di San Martino al Cimino, San Martino al Cimino, frazione di Viterbo,
Storie del martirio di Sant’Andrea, 1650-1651, affreschi, cm ca. 650×400 (ciascuno), abside della chiesa di Sant’Andrea della Valle, Roma,
Trinità con la Vergine e i Santi Carmelitani in Paradiso, Quattro Evangelisti, Concerto di Angeli, 1651-1652, affreschi, chiesa di San Biagio, Modena,
L’adorazione dei magi, 1652-1653 circa, olio su tela, cm 173×230, Holkham Hall, Viscount Coke, D.L.,
Santa Veronica con il Sudario, 1652-1653, olio su tela, cm 100,3×74,9, Los Angeles County Museum, Los Angeles,
Tre fanciulli mendicanti, 1653-1655, olio su tela, cm 171×123, collezione Giuseppe De Vito, Milano,
Le nozze di Cana, 1655 circa, olio su tela, cm 203,2×226, National Gallery, Londra,
L’Immacolata Concezione della Vergine con i Santi Gennaro, Francesco Saverio e Rosalia, 1656-1660, affresco, cm ca. 400×200, Porta San Gennaro, Napoli. L’unico affresco tuttora esistente degli affreschi della Peste, realizzati da Mattia Preti per le sette porte di Napoli,
San Giovanni Battista, 1657, olio su tela, cm 99×75, Galleria Doria-Pamphilj, Roma,
Santa Maria Maddalena, 1657, olio su tela, cm 74×60, Galleria Doria-Pamphilj, Roma,
La Maddalena, 1662 circa, olio su tela, cm 128×96 (ovale), Musée Granet, Aix-en-Provence,
Pilato che si lava le mani, 1663, olio su tela, cm 206,1×184,8, The Metropolitan Museum of Art, New York,
La morte di Didone, 1665-1670 circa, olio su tela, cm 204×176,5, Herzog Anton-Ulrich Museum, Braunschweig,
L’incontro dei Santi Domenico e Francesco, 1670 circa, olio su tela, cm 128×182, Galleria di Palazzo Spinola a Pellicceria, Genova,
San Marco evangelista, 1670 circa, olio su tela, cm 141×100, Soprintendenza per i Beni A.A.A.S. della Calabria, Cosenza,
Pietà, 1670-1675 circa, olio su tela, cm ca. 110×80, collezione Catello, Napoli,
La deposizione dalla croce, 1675 circa, olio su tela, cm 179×128, collezione Giuseppe De Vito, Milano,
Miracolo di San Nicola di Bari, 1675 circa, olio su tela, cm 313×222, Museo Civico, Fano,
Cristo mette il bambino in mezzo agli apostoli, 1680 circa, olio su tela, cm 119,4×195,6, Bob Jones University, Greenville,
Rachele nasconde gli idoli da Labano, 1680 circa, olio su tela, cm 119×151, Soprintendenza per i Beni A.A.A.S. della Calabria, Cosenza,
Santa Caterina in prigione, 1680 circa, olio su tela, cm ca. 100×129, Accademia delle Belle Arti (in deposito al Palazzo Reale), Napoli,
Adorazione dei pastori, 1684 circa, olio su tela, cm ca. 180×260, chiesa di Santa Maria di Montevergine, Napoli, dono del Principe di Scilla nel 1830,
La Vergine che consegna lo scapolare a San Simone Stock e il Beato Franco, 1684, olio su tela, chiesa di Santa Maria del Carmine Maggiore, Napoli,
Martirio di Sant’Andrea, 1687, olio su tela, cm 410×279, St. Andrew Church, coro, Luqa, Malta,
San Cipriano, 1690 circa, olio su tela, cm 122×71, Diocesan Curia, Floriana, Malta,
Madonna del Carmine con San Simone Stock, Elia, San Luigi di Francia, Santa Teresa d’Avila, 1693, olio su tela, cm 286×218, chiesa di Santa Teresa, Cospicua, Malta.
Opere di Mattia Preti
Rinnegamento di San Pietro
Datazione: 1630-1635 circa,
misure: cm 112×167,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Musée des Beaux-Arts, Carcassonne.
Opera giovanile di Mattia Preti, databile al 1630-1635, mostra riferimenti alla pittura caravaggesca nella rappresentazione della scena che sembra come se si stesse svolgendo in una strada di Roma di notte.
San Pietro, al centro, è avvicinato fuori dal palazzo del Gran Sacerdote da un soldato, a sinistra, e una serva, a destra, che lo indica con il dito in modo accusatorio.
San Pietro nega per la terza volta di essere stato con Gesù, in tal modo adempiendo alla profezia e svelando la sua fragilità umana.
Da notare il gesto del soldato che dà una tirata alla barba di San Pietro, rivelando un’impertinenza autoritaria.
Nel 1809 il dipinto era a Vienna, nella Galleria Belvedere, trasferito nel 1810 a Parigi, al Musée Napoléon e poi nel 1816 nel museo del Louvre a Parigi, dal 1876 è in deposito al Musée des Beaux-Arts di Carcassonne.
Argentiere
Datazione: 1635 circa,
misure: cm 96,5×132,
tecnica: olio su tela,
collocazione: collezione John Bocchieri, Brooklyn, N.Y.
Opera databile agli anni Trenta del Seicento, poiché mostra affinità stilistiche con opere di Mattia Preti realizzate in questo periodo, quali il Tributo della Galleria Corsini di Roma e la Salome che mostra la testa di San Giovanni Battista a Sarasota.
Si tratta di un’opera giovanile che si rivela come uno studio dell’arte di Caravaggio che, spesso, come in questo dipinto, ritraeva la vita quotidiana e i mestieri umili.
Non è nota la committenza, ne risulta citato dalle antiche fonti: sappiamo soltanto che fu acquistato nel 1976 e da allora è tuttora conservato in una collezione privata di Brooklyn.
Concerto
Datazione: 1635 circa,
misure: cm 107×145,5,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid.
Opera giovanile di Mattia Preti, fu forse realizzata in collaborazione col fratello pittore col quale condivise uno studio negli anni Trenta del Seicento: risultato di un intervento di Gregorio Preti, può essere infatti ritenuta la resa del violinista, la cui tecnica è più tirata.
In quest’opera, Mattia Preti riprese i soggetti frequenti nei dipinti dei pittori caravaggeschi, ma se ne distaccò nell’abolizione dei contenuti potenzialmente scandalosi delle scene di osteria e soggetti di genere: in questo grazioso concerto, non vi sono infatti raffigurate né nudità né bevute.
Cristo e il tributo
Datazione: 1635 circa,
misure: cm 143×193,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Pinacoteca di Brera, Milano.
Opera giovanile di Mattia Preti, mostra riferimenti alla Vocazione di San Matteo dipinto realizzato da Caravaggio per la chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma.
Al centro dell’opera ritroviamo raffigurato il momento in cui l’esattore delle tasse, raffigurato mentre scrive con una penna, riceve il tributo dagli apostoli, dopo che il denaro è stato estratto da un pesce visibile in primo piano.
Come nell’opera di Caravaggio, anche Mattia Preti attualizzò il tema religioso, descrivendo i personaggi vestiti in abiti a lui coevi.
Inoltre, particolare attenzione è data alla resa del chiaroscuro, ambientando la scena in un ambiente chiuso e buio.
Proveniente dalla collezione milanese di Mario Arese, il dipinto fu acquistato da Eugène Beauharnais nel 1811 e donato alla Pinacoteca di Brera nel 1812 assieme ad un’altra opera di Mattia Preti concepita come suo pendant: Gesù e i figli di Zebedeo.
Gesù e i figli di Zebedeo
Datazione: 1635 circa,
misure: cm 143×193,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Pinacoteca di Brera, Milano.
Opera concepita come pendant del Cristo e il tributo e perciò delle stesse dimensioni, il dipinto Gesù e i figli di Zebedeo è anch’esso conservato a Milano, nella Pinacoteca di Brera.
Trattasi di un dipinto giovanile, concepito quindi in una fase dell’artista dedita allo studio delle opere di Caravaggio, ma vi si riscontra anche la conoscenza dell’opera di Paolo Veronese che realizzò un’opera del medesimo soggetto, conservata nella collezione Chrysler a New York: probabilmente Mattia Preti conosceva questo dipinto tramite una delle sue numerose copie e ne trasse ispirazione per il quadro della Pinacoteca di Brera, inserendo alcune varianti, tra le quali la più significativa è la presenza di un calice nella mano di Gesù.
Il calice è un chiaro riferimento a un passo del Vangelo ove si riporta che Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, accompagnati dalla madre, vennero da Gesù, chiedendo di poter sedere uno alla destra e l’altro alla sinistra di Gesù, il quale rispose loro: “Voi berrete dal mio calice, ma ciò che mi chiedete non è mio da concedere; è per coloro per cui è stato preparato dal Padre mio” (Mt 20,20-28, Mc 10,35-45).
L’incredulità di San Tommaso
Datazione: 1635 circa,
misure: cm 123×173,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Galleria di Palazzo Rosso, Genova.
Opera giovanile di Mattia Preti che rivela non solo lo studio di Caravaggio, ma anche di artisti bolognesi, quali in particolare Guercino e Cavedone: la scena raffigurata, frequente nei pittori caravaggeschi e in Caravaggio stesso, pone particolare attenzione ai sensi fisici della vista e del tatto ed è tratta da un passo del Vangelo (Gv 20,24-29).
Viene quindi raffigurato il momento in cui Cristo appare a San Tommaso che ancora non lo aveva visto come gli altri apostoli e per questo diceva che non avrebbe creduto nella sua resurrezione se non gli fosse apparso e non avesse messo il dito nel costato.
Mattia Preti non si limitò a raffigurare l’apostolo incredulo, ma mostrò ben quattro apostoli che toccano il corpo di Cristo risorto e a loro apparso.
L’ambiente buio, tipicamente caravaggesco, mostra tuttavia degli spiragli di luce spirituale che illuminano le figure.
Abramo scaccia Agar e Ismaele
Datazione: 1635-1640 circa,
misure: cm 90×125,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Palacio Real, Madrid.
Opera forse inviata in Spagna dallo stesso Mattia Preti, proviene dalla collezione reale di El Escorial ed è databile al 1635-1640, in quanto stilisticamente affine al Rinnegamento di San Pietro conservato nella Galleria Corsini a Roma.
Nel dipinto di Madrid, Agar ha la posizione centrale, mentre Ismaele, anch’egli mandato in esilio da Abramo, è posto a lato, in basso, raffigurato mentre si asciuga le lacrime.
Probabilmente Mattia Preti si indentificava in qualche modo nella storia di Agar da lui spesso ritratta in diversi dipinti: secondo il racconto biblico (Genesi 21,14), dopo che Sara ebbe dato miracolosamente un figlio ad Abramo, già vecchio, indusse il patriarca ad allontanare Agar, la sua concubina egiziana, e suo figlio Ismaele.
Cristo e il tributo
Datazione: 1635-1640 circa,
misure: cm 147×300,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Galleria Doria-Pamphilj, Roma.
Opera giovanile di Mattia Preti, forse la più elaborata delle tante versioni del Cristo e il tributo dipinte dall’artista: in questa della Galleria Dori-Pamphilj, l’azione si svolge in forma quasi cinematografica per tutta la lunghezza del fregio orizzontale di cui si compone il dipinto.
All’estrema destra, ritroviamo la figura di Cristo che viene descritta avvolta di luce mistica per simboleggiare la sua appartenenza al mondo spirituale; all’estrema sinistra, è invece l’esattore, seduto al tavolo, con il registro aperto davanti.
Da notare lo stupore dell’esattore alla vista della moneta trovata da San Pietro dentro il pesce e si osservi pure che l’esattore indossa un esotico costume rosso e giallo, probabilmente ripreso da un dipinto dei Paesi Bassi.
Diogene
Datazione: 1636 circa,
misure: cm 95×65,
tecnica: olio su tela,
collocazione: National Trust, Buscot Park (Oxfordshire).
Opera giovanile di Mattia Preti, vuole ricordare gli interessi letterari e il carattere moralista del filosofo greco Diogene (413-327 a.C.), fondatore della scuola dei Cinici e famoso tra i suoi contemporanei per il comportamento antisociale e anticonformista. Si dice che Diogene percorresse le vie di Atene con una lampada in mano, dicendo: “Cerco un uomo onesto”.
Mattia Preti raffigurò Diogene con lo stesso naturalismo che ritroviamo nei filosofi dipinti dal Ribeira.
L’opera, già a Londra, nella collezione Agnew’s, nel 1968, è citata dal De Dominici che nel 1742-1743, la ricordava collocata nel Palazzo Caputi a Napoli.
Fuga da Troia
Datazione: 1635-1640,
misure: cm 186×154,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Corsini, Roma.
La Fuga da Troia è un’opera di transizione dello stile di Mattia Preti che, pur continuando ad adottare modelli caravaggeschi, iniziava ad ambientare la scena in spazi aperti e non più in oscuri ambienti chiusi.
Nella scena raffigurata ritroviamo l’eroe Enea che fugge da Troia in fiamme, portando in salvo l’anziano padre Anchise che sta sulle sue spalle e il giovane figlio Ascanio che è in basso.
Enea è descritto come l’unico personaggio che riceve i raggi di luce solare, prefigurando il suo eroico destino.
Secondo le leggi della fisica, il riflesso della luce del giorno dovrebbe diluire le ombre che ha dietro di sé, ma l’artista non ne tenne conto, rivelando che nel 1635 non aveva ancora studiato la luminosità neoveneziana.
Non riuscì invece a salvarsi dall’incendio, Creusa, la moglie di Enea, che nell’opera di Mattia Preti, è mostrata con il volto spaventato mentre resta indietro scomparendo nelle fosche tenebre (Eneide II, 588-621).
Il dipinto di Mattia Preti è chiaramente caravaggesco, rivelando riferimenti ai dipinti di Simon Vouet per la chiesa di San Lorenzo in Lucina a Roma, ma è stato osservato anche un interessante rapporto con le sculture di Apollo e Dafne e del David, opere di Gian Lorenzo Bernini, conservate nella Galleria Borghese di Roma.
Cristo guarisce il ragazzo indemoniato
Datazione: 1640 circa,
misure: cm 133×123,5,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Galleria degli Uffizi, Firenze.
Durante una mostra nel 1970, quest’opera fu oggetto di un atto vandalico e rimase danneggiata in basso a sinistra nel drappeggio della persona che assiste alla guarigione: nonostante ciò, il dipinto risulta tuttora leggibile e si può datare al 1640 circa ovvero si può far risalire a una fase di transizione di Mattia Preti, nella quale l’artista cercò di moderare il proprio stile caravaggesco con osservazioni di una più morbida luce neoveneziana.
In particolare, ritroviamo riferimenti alle opere del pittore Andrea Sacchi (1599-1661) quali, per esempio, la Visione di San Bonaventura, nella chiesa di Santa Maria della Concezione a Roma, 1636-1638: ciò è evidente nelle morbide figure dilatate, nel ritmo circolare della composizione, e nei delicati toni di bruno e di lavanda.
Nel dipinto donato alla Galleria degli Uffizi nel 1930, dall’avvocato Luigi Albrighi, Mattia Preti raffigurò un episodio riferito nei vangeli sinottici (Mt 17,14-21; Mc 9,14-29; Lc 9,37-43): un uomo portò il figlio, che soffriva di convulsioni e schiumava alla bocca, ai discepoli di Gesù, ma essi non riuscirono a guarire il bambino, Gesù rimproverò lo spirito immondo e il ragazzo fu subito guarito.
La crocifissione di San Pietro
Datazione: 1640 circa,
misure: cm 335×242,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Musée de Peinture et Sculpture, Grenoble.
Poco si conosce della storia di questo dipinto: le dimensioni suggeriscono l’ipotesi che in origine dovesse essere una pala d’altare, ma non risultano notizie sulla sua collocazione in una chiesa.
Notizie certe sono la presenza di una copia d’epoca nella chiesa di Sant’Agostino a Norcia, mentre dell’originale è documentata la sua collocazione nella collezione della regina Cristina di Svezia che arrivò a Roma nel 1657.
Opera giovanile di Mattia Preti e databile al 1640 circa, potrebbe essere pervenuta nelle mani della regina Cristina di Svezia per il tramite del suo confidente oltreché protettore di Mattia Preti: il cardinale Decio Azzolini potrebbe averle infatti suggerito questo acquisto.
Come è stato osservato, nello stile di questo dipinto si ritrovano qualità napoletane unite a citazioni della caravaggesca Crocifissione di San Pietro di Guido Reni.
Il perdono di San Giovanni Crisostomo
Datazione: 1640 circa,
misure: cm 244×189,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Cincinnati Art Museum, Cincinnati, Ohio.
Già conservato dal 1679 al 1751, nella collezione bolognese della famiglia Ratta, dal 1989 questo dipinto fa parte delle collezioni d’arte del Museo di Cincinnati, in Ohio: sembra risalga all’incirca al 1640, in una fase di transizione di Mattia Preti che si stava avviando a un distacco dai rigorosi modelli caravaggeschi e si ritiene verosimile che l’opera vada collocata tra il Cristo e l’adultera di Zurigo e il Sant’Andrea di Lucerna, datato 1643.
Il perdono di San Giovanni Crisostomo è un soggetto raramente raffigurato nella pittura europea del Seicento. Anzi, pare che Mattia Preti sia stato l’unico pittore di quel periodo a realizzare un’opera del genere: San Giovanni Crisostomo nacque ad Antiochia intorno al 347 e morì in esilio a Comana nel Ponto nel 407.
Nel 398, San Giovanni Crisostomo fu eletto arcivescovo di Costantinopoli e in quest’ufficio fu riformatore rigoroso e impopolare. È onorato come uno dei grandi dottori della Chiesa greci.
Nella scena raffigurata da Mattia Preti, San Giovanni Crisostomo penitente e in catene, viene assolto da un presunto assassinio di molti anni prima, da un bambino che miracolosamente chiama l’eremita per essere battezzato.
Molto apprezzato dai turisti del Grand Tour a Bologna nel Settecento, il dipinto di Mattia Preti sarebbe stato eseguito con la collaborazione del fratello Gregorio al quale sono ascrivibili gli abiti e i lineamenti della balia, elementi che rivelano una delicatezza classicheggiante.
Di questo dipinto esiste una copia ridotta (cm 152×110) conservata nella chiesa di San Paolo, ad Albano Laziale, che secondo la dottoressa Alba Costamagna potrebbe trattarsi di un’opera autografa di Mattia Preti.
La decollazione di San Giovanni Battista
Datazione: 1640 circa,
misure: cm 135×97,
tecnica: olio su tela, collocazione: National Gallery of Ireland, Dublino.
Già nella collezione del marchese Cambiaso a Genova, fu acquistato nel 1864 a Roma per la National Gallery di Dublino dove è tuttora conservato.
Le guide del museo lo hanno sempre attribuito a Caravaggio fino al 1971, quando nuovi studi riconobbero invece l’autografia di Mattia Preti e fu datato al 1640 circa, nel periodo in cui l’artista veniva ammesso all’Ordine di San Giovanni.
Nel dipinto ritroviamo raffigurato San Giovanni Battista in prigione, colto qualche istante prima della sua decapitazione da parte di un soldato di Erode.
Il santo regge un cartiglio dove si leggono le lettere E.A.D.E., in riferimento alle parole di San Giovanni Battista riportate nel vangelo “Ecco l’Agnello di Dio, ecco” (Gv 1,29-36).
La resurrezione di Lazzaro
Datazione: 1640 circa,
misure: cm 229×229,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Palazzo Rosso, Genova.
Già nella collezione del Marchese Brignole Sale a Genova e donato nel 1874 al Comune di Genova da Maria Brignole-Sale De Ferrari, duchessa di Galliera, questo dipinto fu in passato attribuito a Caravaggio fino al 1916, quando Roberto Longhi non lo collocò correttamente al periodo giovanile di Mattia Preti.
La composizione, dalle dimensioni insolitamente grandi, giunse a Genova in circostanze non documentate, forse fu realizzata proprio per la famiglia Brignole Sale che ne era proprietaria, come ipotizzava il De Dominici che lo riteneva erroneamente un pendant della Liberazione di Sofronia e Olindo.
La resurrezione di Lazzaro, di chiara ispirazione caravaggesca, attirò frequenti elogi dal gran turismo del Settecento a Genova.
Inoltre, si tratta della prima versione nota di un soggetto spesso raffigurato da Mattia Preti: un episodio narrato dall’evangelista Giovanni (11,1-44) in cui si riferisce del ritorno di Gesù a Betania in Giudea, dopo aver ricevuto la notizia che il suo amico Lazzaro era malato.
Trovate Marta e Maria piangenti per la sopraggiunta morte di Lazzaro, Gesù disse loro di togliere la pietra tombale e chiamò: “Lazzaro, vieni fuori”.
Il defunto emerse così vivo dal sepolcro, con addosso ancora il sudario.
Lo stendardo della confraternita del S.S. Sacramento
Datazione: 1649,
misure: cm 268×203,
tecnica: olio su tela,
collocazione: abbazia di San Martino al Cimino, San Martino al Cimino, frazione di Viterbo.
Nell’autunno del 1649, su richiesta di Donna Olimpia Maidalchini, cognata di Papa Innocenzo X, il conte Ramazzotti commissionò a Mattia Preti, la realizzazione di uno stendardo processionale a due facce per l’abbazia di San Martino al Cimino, situata all’interno delle mura dell’omonimo borgo, un tempo di proprietà della famiglia Pamphilj e attualmente frazione del Comune di Viterbo.
Destinato a essere esposto durante le processioni del Giubileo del 1650, il recto dello stendardo raffigura San Martino e il Povero accompagnato da putti che recano gli stemmi di Papa Innocenzo X Pamphilj e di donna Olimpia Maidalchini, in basso a destra.
Sul verso dello stendardo, è raffigurato invece il Salvator Mundi, rappresentato in una dura e profondamente commovente interpretazione di Cristo nell’incarnazione e fonte dell’Eucarestia.
Realizzato tra il settembre e il novembre del 1649 e giunto a San Martino al Cimino entro il 6 febbraio 1650, lo stendardo è la prima committenza pubblica, perlomeno tra quelle note, ricevuta da Mattia Preti durante il pontificato di Papa Innocenzo X.
Storie del martirio di Sant’Andrea

Datazione: 1650-1651,
misure: cm ca. 650×400 (ciascuno),
tecnica: olio su tela,
collocazione: abside della chiesa di Sant’Andrea della Valle, Roma.
Nel 1582 i padri Teatini ricevettero un lascito da Costanza Piccolomini D’Aragona che assegnava loro un palazzo e l’adiacente chiesa di San Sebastiano nel centro di Roma, a condizione che essi costruissero un nuovo convento e chiesa dedicati all’apostolo Sant’Andrea, patrono di Amalfi, di cui Costanza era stata Duchessa.
Dopo molte successioni di architetti, alla fine il progetto fu portato avanti da Carlo Maderno che ricevette l’incarico dal cardinale Alessandro Peretti Montalto.
La maestosa basilica fu arricchita di opere di insigni artisti: tra il 1622 e il 1627, Domenichino dipinse le scene della vita di Sant’Andrea sulla volta del coro e i quattro evangelisti nei pennacchi della cupola.
A Giovanni Lanfranco fu invece affidato il compito di decorare la cupola con l’affresco dell’Assunzione della Vergine.
Nel 1650 fu affidato a Mattia Preti il compito di affrescare il coro della chiesa: per l’artista fu la prima grande impresa pittorica e ciò doveva essere segno di una grande stima nei suoi confronti, visto che nella medesima chiesa erano già presenti e molto apprezzati, i dipinti di artisti all’epoca molto più noti, quali Domenichino e Giovanni Lanfranco.
Nel contratto del 12 gennaio 1650, Mattia Preti accettava di dipingere quattro storie, con le loro relative soprafinestre, nella volta della navata. Il progetto era finanziato dal cardinale Francesco Peretti Montalto.
Poco tempo dopo, il 6 febbraio 1650, Mattia Preti iniziò a lavorare non sulla volta della navata, ma nel coro: questa decisione di cambiare destinazione agli affreschi, fu presa probabilmente per evitare intralcio nella navata, con i ponteggi, durante le celebrazioni del Giubileo.
Da un secondo contratto firmato il 22 febbraio 1650, risulta che Mattia Preti fu pagato 300 scudi, una somma relativamente modesta, per gli affreschi del coro di Sant’Andrea della Valle.
L’8 aprile 1651 furono poi inaugurati i tre affreschi di Mattia Preti, eseguiti sulla parete curva di fondo del coro, suddivisa in tre grandi campi da pilastri monumentali: all’artista fu richiesto di comporre, all’interno di questi riparti verticali, un trittico di affreschi dedicati al martirio di Sant’Andrea, titolare della chiesa.
L’affresco centrale contiene il soggetto principale, la crocifissione dell’apostolo a Patrasso in Acaia alla fine del I secolo.
Seguendo una tradizione medievale, Mattia Preti raffigurò il santo legato a una croce a forma di X: inoltre accordò il suo stile con quello del Domenichino, autore degli affreschi posti sopra quest’opera.
Tra l’altro è stato osservato come Mattia Preti si ispirò in quest’affresco del Martirio di Sant’Andrea al Martirio di San Sebastiano del Domenichino, già nella basilica di San Pietro in Vaticano e attualmente conservato nella basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma: da quest’opera Mattia Preti riprese la posizione delle gambe del santo, gli angeli musicanti e la corona di foglie di palma dei martiri.
A differenza del Domenichino, in basso Mattia Preti non inserì una folla di persone, ma attorno alla base della croce sono distribuite poche figure.
Ai lati dell’affresco centrale della Crocifissione, troviamo a sinistra, l’affresco di Sant’Andrea legato alla croce e a destra, Sant’Andrea portato alla tomba.
Tutti e tre gli affreschi sono mirabili per le imponenti dimensioni e l’ampiezza teatrale di visione: De Dominici scrisse che Pietro da Cortona dette a Preti l’errato consiglio di dipingere le figure in scala gigantesca: nonostante i due artisti non avevano praticamente nessun contatto l’uno con l’altro, il ciclo di Sant’Andrea spicca nella carriera di Mattia Preti come un raro caso in cui l’influsso di Pietro da Cortona è evidente.
Elementi derivati da questo grande artista del Barocco romano, sono la vivacità del disegno e l’animazione delle pose allo scopo di rendere leggibile da lontano gli enormi affreschi, senza renderli monotoni.
Santa Veronica con il Sudario
Datazione: 1652-1653,
misure: cm 100,3×74,9,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Los Angeles County Museum, Los Angeles.
Acquistato nel 1984 sul mercato antiquario di New York e donato dall’Ahmanson Foundation al County Museum di Los Angeles, questo elegante ritratto di Santa Veronica è un dipinto che risale agli anni 1652-1653, quando Mattia Preti subì l’influsso della scuola bolognese.
L’opera fu probabilmente realizzata per il cardinale Girolamo I Colonna, nella cui collezione è documentata fin dal 1667.
Dipinto molto ammirato da artisti e visitatori a Roma e riprodotto in varie copie, mostra la santa con il suo attributo ovvero il velo con impresso l’immagine del volto di Cristo: con quel velo, Santa Veronica asciugò il volto di Cristo sofferente, che portava la croce.
Si ritiene che Santa Veronica sia morta martire a Roma: una cappella in San Pietro in Vaticano è a lei dedicata e ne conserva una reliquia del velo.
Pilato che si lava le mani
Datazione: 1663,
misure: cm 206,1×184,8,
tecnica: olio su tela,
collocazione: The Metropolitan Museum of Art, New York.
Il dipinto del Metropolitan Museum of Art di New York è stato identificato con il quadro di Pilato che si lava le mani che Mattia Preti offrì in vendita a Don Antonio Ruffo con lettere del settembre e dicembre 1663, come la Montalto rilevò per prima.
Ruffo non acquistò la tela, e non è noto come o quando essa giunse a Napoli, ne è citata dal de Dominici.
Nell’opera ritroviamo raffigurato il governatore romano che condannò Cristo, Ponzio Pilato, nel momento in cui si lava le mani, come riporta il vangelo (Matteo 27,24): nella lettura fornitaci da Mattia Preti, Pilato affronta l’osservatore come per chiedere un responso, mentre Cristo, visto in ombra, viene condotto via.
Bibliografia
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