L’atto di battesimo di Tintoretto, purtroppo andato distrutto in un incendio della sagrestia di San Polo, era l’unico documento che ci avrebbe potuto fornire l’esatta data di nascita dell’artista che, tuttavia, possiamo ricavare, con una certa approssimazione, dal necrologio di San Marziale che così riporta: “adì 31 maggio 1594 el magnifico Jacopo di Robusti detto el Tentoretto de età de anni 75 è statto amalatto giorni quindese de fievre”.
L’artista sarebbe nato quindi nel 1518 e non nel 1512, come riferisce il Ridolfi, o il 1524, come risulterebbe dal computo del Borghini.
Da un documento del 22 maggio 1539 risulta che Tintoretto abitava nel campo di San Cassiano ed era già denominato “depentor”. In questo periodo l’artista doveva avere già una propria bottega e forse già da tempo aveva lasciato la bottega di Tiziano.
Le prime opere note di Tintoretto sono due scene mitologiche, una con Apollo e Marsia, ora di proprietà Browley a Davenport, l’altra con Mercurio ed Argo, oggi perduta e dipinta per Pietro Aretino nel 1545.
A Venezia la fama di Tintoretto dovette aumentare proprio in quegli anni: frequenti furono infatti le commissioni da parte di privati, di chiese, di confraternite e della stessa repubblica che gli affidò nel 1550 dei quadri non meglio precisati per le Procuratie, e nel 1555 due tele, L’Incoronazione del Barbarossa e la sua Scomunica da parte di Papa Alessandro III) eseguite una nello stesso anno, l’altra nel 1562, ed andate entrambe distrutte nell’incendio del 1577.
Il 21 giugno 1562 fu concesso a Tomaso di Ravenna, guardiano generale della Scuola di San Marco, di far eseguire a sue spese “li tre quadri con i miracoli del nostro sanctissimo protettore messer San Marco”, senza, però precisare a chi furono affidati, ma l’attribuzione tradizionale a Tintoretto è indubbia.
Sempre nel 1562 abbiamo per la prima volta la testimonianza di un contatto con la Corte mantovana, quando mandò ad Ercole Gonzaga una Piccola battaglia di Turchi, quasi anticipo dei più tardi fasti gonzagheschi (1579).
Dopo aver avuto i 25 ducati per una lunetta raffigurante una Pietà (oggi a Brera) per il cortile delle Procuratie, Tintoretto partecipò al concorso per la decorazione di San Rocco, con un ovato con la gloria del Santo.
Benché un tal Zani si dichiari pronto a sborsare 15 ducati perché non sia affidato l’incarico a Tintoretto, questi con abilità presenta il quadro compiuto e già posto in loco invece del bozzetto richiesto, promettendo in dono qualora risulti il prescelto.
Ottenuta con questa astuzia la commissione, si mise subito al lavoro, nel 1566 ultimò la Sala dell’Albergo e nel 1567 due quadri per la chiesa (San Rocco e gli infermi, San Rocco visitato dalle fiere nel deserto).
Ancora nel 1566 è membro dell’Accademia di pittura di Firenze insieme con Palladio, Salviati e Tiziano.
Un Giudizio universale per Palazzo Ducale, andato distrutto in un incendio, la Crocifissione di San Cassiano, disegni per i mosaici di San Marco sono le numerose commissioni che intercorrono tra la decorazione della sala dell’Albergo e la sala superiore di San Rocco. Questa, iniziata nel 1574, si protrasse fino al 1581, con l’impegno della consegna di tre quadri all’anno.
Dal 1583 al 1587 Tintoretto decorò la sala terrena e contemporaneamente accettò alcune importanti commissioni per il Palazzo Ducale: dal 1578 al 1581 realizzò le Allegorie dell’atrio, dal 1581 al 1584 la decorazione della Sala del Collegio, dal 1584 al 1587 la Presa di Zara.
Nel 1588, ottenuto dopo molti contrasti l’incarico di dipingere il Paradiso, iniziò il lavoro aiutato da numerosi allievi, tra i quali i suoi figli Marietta e Domenico.
Benché ormai settantenne, accettò ancora molti incarichi che gli furono affidati dalle chiese e dai privati, fino alla morte avvenuta il 31 maggio 1594, dopo aver appena ultimato la Caduta della Manna e l’Ultima Cena per la chiesa di San Giorgio Maggiore.
Opere di Tintoretto
Martirio dei diecimila, frammento, 1538 circa, olio su tela, cm 138 × 218, Gallerie dell’Accademia, Venezia,
Madonna col Bambino, san Giuseppe, san Girolamo e il procuratore Girolamo Marcello, 1539, olio su tela, cm 148 × 193, collezione privata,
Adorazione dei pastori, 1540 circa, olio su tela, cm 172 × 274, Fitzwilliam Museum, Cambridge,
Affreschi dei soffitti di Modena, 1541-1542, Galleria Estense, Modena,
Disputa di Gesù nel Tempio, 1542-1543 circa, olio su tela, cm 197 × 319, Museo del Duomo, Milano,
Cena in Emmaus, 1542-1544 circa, olio su tela, cm 156 × 212, Museo di belle arti, Budapest,
Venere e Adone, 1543-1544, olio su tela, cm 145 × 272, Galleria degli Uffizi, Firenze,
Assedio di Asola, 1544-1545, olio su tela, cm 197 × 467,5, collezione privata,
Matrimonio mistico di santa Caterina d’Alessandria con i santi Agostino, Marco e Giovanni Battista, 1545 circa, olio su tela, cm 193 x 314, Musée des Beaux-Arts, Lione,
Storie bibliche di Vienna, 1544-1545 circa, olio su tavola, cm 29 × 157 circa, Kunsthistorisches Museum, Vienna,
Conversione di Saulo, 1545 circa, olio su tela, cm 152 × 236, National Gallery of Art, Washington,
Visita della regina di Saba a Salomone, 1545-1546, olio su tela, cm 150 × 237,5, Bob Jones University, Greenville (Carolina del Sud),
Ecce homo, 1546-1547, olio su tela, cm 109 × 136, Museu de Arte, San Paolo,
Cristo e l’adultera, 1546 circa, olio su tela, cm 119 × 168, Palazzo Barberini, Galleria nazionale d’arte antica, Roma,
Autoritratto, 1546-48, olio su tela, cm 45 × 38, Philadelphia Museum of Art, Filadelfia,
Lavanda dei piedi, 1547 circa, olio su tela, cm 210 × 533, Museo del Prado, Madrid,
Ritratto del procuratore Nicolò Priuli, 1547 circa, olio su tela, cm 125 × 105, Ca’ d’Oro, Galleria Franchetti, Venezia,
San Marco libera uno schiavo, 1548, olio su tela, cm 415×541, Gallerie dell’Accademia, Venezia,
San Rocco risana gli appestati, 1549, olio su tela, cm 307 × 673, chiesa di San Rocco, Venezia,
San Marziale in gloria con i Santi Pietro e Paolo, 1548-1549, cm 376×181, chiesa di San Marziale, Venezia
Sant’Agostino risana gli sciancati, 1549-1550, olio su tela, cm 255 x 174,5, Museo Civico di Palazzo Chiericati, Vicenza,
Cristo e l’adultera, 1550 circa, olio su tela, cm 158 × 277, Museo diocesano, Milano,
Visitazione, 1550 circa, olio su tela, cm 256 × 153, Pinacoteca Nazionale di Bologna
Ritratto del procuratore Jacopo Soranzo, 1550 circa, olio su tela, cm 106 × 90Gallerie dell’Accademia, Venezia,
Ritratto di Girolamo Pozzo, 1550 circa, olio su tela, cm 111,8 × 93,9, Royal Collection, Windsor,
Cristo e l’adultera, 1550 circa, olio su tela, cm 160 × 225, Rijksmuseum, Amsterdam,
Venere, Marte e Vulcano, 1551-1552 circa, olio su tela, cm 135 × 198, Alte Pinakothek, Monaco di Baviera,
Venere e Vulcano vezzeggiano Cupido, cm 197 x 85, Galleria Palatina di Palazzo Pitti, Firenze
Portelle d’organo per la chiesa di Santa Maria dell’Orto, 1552-1556, olio su tela, chiesa di Santa Maria dell’Orto, Venezia,
Ritratto di uomo in armatura, 1555-1556, olio su tela, cm 116 × 99, Kunsthistorisches Museum, Vienna,
Resurrezione di Cristo, 1555 circa, olio su tela, cm 201 × 139, Queensland Art Gallery, Brisbane,
Compianto sul corpo di Cristo, 1555-1556, Museo civico Amedeo Lia, La Spezia,
Compianto sul Cristo morto, 1555-1559, olio su tela, cm 51 x 75, Museo Soumaya, Città del Messico,
Liberazione di Arsinoe, 1556 circa, olio su tela, cm 153 × 251, Gemäldegalerie, Dresda,
Susanna e i vecchioni, 1557 circa, olio su tela, cm 147×194, Kunsthistorisches Museum, Vienna,
Deposizione dalla croce, 1556-1558, olio su tela, cm 135,6×102, Musée des Beaux-Arts, Caen,
San Giorgio e il drago, 1558 circa, olio su tela, cm 158 × 100, National Gallery, Londra,
Ritrovamento del corpo di san Marco, 1562-1566, olio su tela, cm 396 × 400, Pinacoteca di Brera, Milano,
Trafugamento del corpo di san Marco, 1562-1566, olio su tela, 398 × 315 cm, Venezia, Gallerie dell’Accademia, Venezia,
San Marco salva un saraceno, 1562-1566, olio su tela, cm 398 × 337, Gallerie dell’Accademia, Venezia,
Pietà, 1563, olio su tela, cm 108 × 170, Pinacoteca di Brera, Milano,
Resurrezione di Cristo con i santi Cassiano e Cecilia, 1565, olio su tela, cm 450 x 225, chiesa di San Cassiano, Venezia,
Trasporto di Cristo morto al sepolcro, 1565 circa, olio su tela, cm 164 × 124, National Gallery of Scotland, Edimburgo,
Ritratto di Jacopo Sansovino, 1566 circa, olio su tela, cm 49 × 36, Staatliche Kunstsammlungen, Weimar,
Ritratto di Jacopo Sansovino, 1566 circa, olio su tela, cm 70 × 65, Galleria degli Uffizi, Firenze,
Madonna dei Tesorieri, 1566-1567 circa, olio su tela, cm 221 × 521, Gallerie dell’Accademia, Venezia,
Dipinti per la Scuola Grande di San Rocco, 1576-1581, olio su tela, Scuola Grande di San Rocco, Venezia,
Fasti gonzagheschi, 1578-1580, olio su tela, Alte Pinakothek, Monaco di Baviera.
Opere di Tintoretto
Miracolo di San Marco che libera uno schiavo
Datazione: 1548,
misure: cm 416×544,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Gallerie dell’Accademia, Venezia.
Questa grande tela è il primo dipinto realizzato da Tintoretto per la sala capitolare della Scuola Grande di San Marco a Venezia.
Le opere di Tintoretto che decoravano la sala furono concepite per illustrare i miracoli di San Marco: in questo quadro vediamo quindi raffigurato il miracolo di San Marco che libera uno schiavo, episodio tratto dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine dove si riferisce che un servo recatosi a venerare le reliquie, fu condannato dal padrone all’accecamento ed alla frattura delle gambe, ma rimase miracolosamente illeso per l’intervento del santo.
L’opera suscitò una straordinaria ammirazione fin dal suo primo apparire, come testimonia una lettera del 1548 indirizzata da Pietro Aretino al Tintoretto, in cui il toscano tesse le lodi del dipinto, apprezzato per “il rilievo della figura” del servo che “tutta ignuda, giuso in terra è offerta dalla crudeltà al martirio. I suoi colori son carne […] e il suo corpo vivo” così come sono vive e naturali le espressioni dei personaggi intorno, tanto che “lo spettacolo pare più tosto vero che finto”.
L’Aretino fa seguire, però una timida critica sulla frettolosità del fare, sulla maniera sbrigativa di dipingere del Tintoretto, che diviene un ammonimento e insieme un augurio affinché si possa emendare con l’andare degli anni.
Forse questa prestezza dei modi, che tutta la storiografia posteriore – a partire da Giorgio Vasari e Francesco Sansovino – ha sottolineato e che costituisce la novità più rilevante del dipinto, fu all’origine delle accese polemiche suscitate tra i confratelli della Scuola di San Marco fin dal suo primo apparire, tanto che lo sdegnato artista si portò la tela a casa e solo in un secondo momento la restituì alla Scuola.
Questa furia espressiva che la storiografia accademica bollava aspramente e che invece doveva essere apprezzata ed esaltata nei tempi moderni definirà progressivamente il temperamento di Tintoretto come tumultuoso e romantico.
Portata a Parigi nel 1797, dopo la restituzione la tela entrò a far parte delle Gallerie dell’Accademia essendo intanto soppressa la scuola.
Caino e Abele
Datazione: 1550-1553,
misure: cm 149×196,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Gallerie dell’Accademia, Venezia.
Contro una densa massa di fronde si stagliano i due corpi nudi dei biblici figli di Adamo: Caino, il fratricida, brandisce in aria un coltello per uccidere l’inerme Abele che si divincola nel disperato tentativo di sfuggirgli.
La tela faceva parte di un ciclo dedicato alle Storie della Genesi dipinte dal Tintoretto per la sala dell’Albergo della Scuola della Santissima Trinità a Venezia. Demolita quest’ultima nel corso del Seicento per far posto alla chiesa di Santa Maria della Salute, i dipinti furono ricollocati nella Scuola omonima riedificata poco lontano.
In seguito alla chiusura causata dalle soppressioni napoleoniche, questa tela e Le tentazioni di Adamo ed Eva furono scelte nel 1812 per essere esposte alle Gallerie, mentre un altro dipinto del Tintoretto raffigurante la Creazione degli animali fu posto nei depositi demaniali e giunse nel museo soltanto nel 1928.
Il ciclo si componeva in totale di nove episodi: quattro dipinti da Francesco Torbido entro il 1547 e cinque da Tintoretto, di cui uno risulta attualmente perduto.
Un nuovo senso della natura alimenta l’ispirazione figurativa del pittore verso il 1550. Si avverte in questo dipinto, come pure negli altri della serie, che la funzione del paesaggio non è solo di quinta teatrale della scena, ma è di sottofondo emotivo e sentimentale, su cui si proietta lo stato d’animo che muove dall’evento drammatico rappresentato.
Per questo la vegetazione appare densa e misteriosa, resa con toni cupi e luci baluginanti, e lascia soltanto intravedere a destra uno sprazzo di sereno.
L’intreccio dei corpi è congegnato in modo molto ardito: le pose sono contorte e audaci, i muscoli acquistano risalto plastico grazie alla forza del colore che vibra sotto la luce e l’instabilità delle figure, di chiara ispirazione manieristica, è riecheggiata all’intorno di quel senso di moto ventoso che anima misteriosamente le fronde degli alberi.
La testa di capretto sgozzato sulla destra, allusiva al sacrificio dell’innocente Abele, sottolinea il significato drammatico dell’opera.
Giuditta ed Oloferne
Datazione: 1552-1555,
misure: cm 119×58,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Museo del Prado, Madrid.
Questo dipinto di Tintoretto fa parte di un gruppo di opere legate dallo stesso schema cromatico, da un’accentuazione generale del disegno superficiale e da un ritmo di forme curve.
Vi sono raffigurate scene bibliche, ma la destinazione di questi dipinti era per un ambiente profano: non era infatti tanto l’aspetto religioso che doveva essere posto in risalto, ma si voleva evidenziare il lusso, gli abiti esotici, le cerimonie di corte.
La ripetizione regolare di piccole pennellate sulle nappe di vestiti e copricapi, le foglie della vegetazione, i boccoli dei capelli e le acconciature femminili, creano un ritmo decorativo che non si trova in nessuna delle altre opere di Tintoretto.
In quest’opera del Museo del Prado, Tintoretto raffigurò i personaggi biblici di Giuditta ed Oloferne: l’Antico Testamento riporta che Giuditta riuscì a salvare la città di Betulia ormai assediata dall’esercito di Nabucodonosor, comandato dal generale Oloferne.
La donna attese la fine del pomposo banchetto durante il quale fecero ubriacare il generale che uccise decapitandolo.
Al centro sta Giuditta nell’atto di uccidere Oloferne, a destra lo stesso Oloferne ubriaco, e sulla sinistra, l’ancella.
Trafugamento del corpo di San Marco
Datazione: 1562-1566,
misure: cm 398×315,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Gallerie dell’Accademia, Venezia.
Questo dipinto, che faceva parte del ciclo dei quadri dei Miracoli di San Marco posto nella sala capitolare della Scuola di San Marco, raffigura il momento in cui i cristiani di Alessandria d’Egitto riuscirono ad impadronirsi del corpo del loro vescovo Marco, già deposto sul rogo per essere bruciato, grazie ad un improvviso uragano che spense il fuoco e mise in fuga i pagani terrorizzati.
Un’incisione settecentesca di Andrea Zucchi documenta lo stato originario dell’opera prima delle alterazioni apportate nel 1815 che ne hanno mutato pesantemente l’aspetto, fuorviando anche l’interpretazione iconografica.
La forma quadrata del dipinto fu trasformata in un rettangolo tagliando porzioni di tela a destra e a sinistra e aggiungendone altre sopra e sotto.
La catasta di legno di fronte all’ingresso dell’edificio di fondo fu nascosta e vi furono dipinte sopra due arcate aperte, rimosse solo nel restauro del 1959.
La composizione è sapientemente impostata in modo tale da suggerire un effetto di profondità che dilata ed enfatizza l’ampio spazio vuoto posto alle spalle delle figure.
La fuga spaziale è sottolineata dalla convergenza prospettica del pavimento e da quella delle architetture laterali verso la sontuosa facciata dell’edificio di fondo, nel quale le arcate aperte suggeriscono un’altra indicazione di lontananza.
Secondo alcune ipotesi gli edifici richiamerebbero, peraltro in maniera piuttosto vaga, architetture reali: quello di sinistra, nella sequenza delle arcate, si ispirerebbe alla Libreria Marciana del Sansovino e la facciata sullo sfondo alla torre della Signoria a Padova, inserita forse su richiesta dello stesso committente.
Susanna e i vecchioni
Datazione: 1555-1560,
misure: cm 146,6×193,6,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Kunsthistoriches Museum, Vienna.
Questo dipinto rappresenta uno degli esiti più felici dell’intera produzione di Tintoretto ed il soggetto biblico, tradizionalmente riferito al profeta Daniele, appare interpretato in maniera assai originale: l’attenzione del riguardante è irresistibilmente attratta dal corpo fiorente di Susanna che, elegantemente acconciata e magnificamente ingioiellata, osserva con compiacimento le sue belle forme riflesse in uno specchio; nel mentre – come narra la Bibbia – due vecchi la spiano con lussuria, appostati ai due alti di una spalliera di rose, quasi una quinta teatrale che conferisce profondità alla scena.
La trasformazione di Susanna in oggetto della visione (e di desiderio) è, con un espediente ingegnoso quanto raffinato, anticipato dal già ricordato riflettersi del suo corpo nello specchio, ma anche sulla superficie scura dell’acqua in cui ella si bagna.
Alcuni preziosi oggetti da toeletta della fanciulla sono poggiati sul prato e, seppure in bizzarro disordine, creano attorno a lei una sorta di preziosa cornice.
Infine, la luce dorata che filtra tra la vegetazione del giardino accresce il fascino dell’immagine ed in particolare conferisce sostanza al panorama di Venezia che occupa l’angolo a sinistra sullo sfondo, caratterizzato da un’altissima linea d’orizzonte.
Il ritrovamento del corpo di San Marco in Alessandria
Datazione: 1562-1566,
misure: cm 405×405,
tecnica: olio su tela,
collocazione: Pinacoteca di Brera, Milano.
Questo dipinto che faceva parte del ciclo dei quadri dei Miracoli di San Marco nella sala capitolare della Scuola di San Marco, raffigura il rinvenimento del corpo del santo effettuato ad Alessandria d’Egitto da due mercanti veneziani, Buono di Malamocco e Rustico da Torcello.
Con mirabile effetto drammatico, ottenuto grazie all’ardita fuga prospettica del profondo vestibolo rischiarato dai bagliori corruschi della luce, il Tintoretto rappresenta momenti diversi dell’episodio.
A destra è raffigurato il momento in cui il cadavere viene calato dal sepolcro, a sinistra la maestosa figura del santo che appare con la mano tesa a far cessare l’investigazione delle tombe, attestando che il corpo adagiato ai suoi piedi è il proprio.
In primo piano, a destra, tra un uomo ed una donna, è un indemoniato, probabilmente qui condotto perché si usava mettere a contatto con le reliquie dei santi coloro che la voce popolare riteneva posseduti dal demonio, per liberarli.
Sullo sfondo appaiono due figurine che continuano a scoperchiare avelli, ignari dell’apparizione di San Marco.
Lavanda dei piedi
Datazione: 1575-1580,
misure: cm 204,5×410,2,
tecnica: olio su tela,
collocazione: National Gallery, Londra.
In questo dipinto di Tintoretto è raffigurato l’episodio di Cristo che lava i piedi ai suoi discepoli, raccontato nel Vangelo di San Giovanni (13,2-17). L’opera è ricordata nella cappella del Santissimo Sacramento nella chiesa di San Trovaso a Venezia e fu commissionata a Tintoretto dalla confraternita del Santissimo Sacramento, negli anni 1575-1580. La confraternita si occupava di portare la comunione a casa agli ammalati, portando appresso una lanterna ed una campana. Il Cristo che lava i piedi ai discepoli di Tintoretto era in origine collocato a destra dell’altare e a sinistra era e c’è tuttora un altro dipinto di Tintoretto: l’Ultima Cena.
La scena della Lavanda dei piedi si svolge in una grande stanza dove è un lungo tavolo a sinistra e a destra un grande camino acceso. Nella stanza sono presenti dodici persone ed una serva appare da dietro la tenda in fondo, a sinistra. Giuda non è raffigurato e questo è un elemento insolito rispetto ad altre raffigurazioni della Lavanda dei piedi: Giuda potrebbe essere stato escluso perché è stato mostrato mentre lasciava il tavolo nell’Ultima Cena, che Tintoretto potrebbe aver dipinto per primo, intorno al 1563-4.
Il dipinto della Lavanda dei piedi vuole richiamare l’attenzione sulla necessità della purificazione tramite il battesimo e della penitenza tramite la confessione che veniva richiesta per ricevere la comunione.
La Chiesa della Controriforma ha posto un rinnovato accento sulla corretta preparazione alla comunione, il che può spiegare la popolarità di questo episodio come soggetto per le cappelle del Sacramento nell’Italia del tardo Cinquecento.
Tali dipinti erano spesso commissionati da confraternite, che sottolineavano atti di carità e doveri reciproci.
Cristo che lava i piedi ai discepoli è dipinto su fondo nero su cui Tintoretto per primo abbozzò la composizione in pittura bianca.
Parte di questo disegno a pennello bianco è ora visibile sulla superficie consumata del dipinto, ad esempio nelle gambe del discepolo tedoforo davanti a sinistra, nella spalla di Pietro, nell’architettura sullo sfondo e nella bacinella di ottone.
In molti punti la vernice si è scurita ed è diventata traslucida, il che ora rende i neri più dominanti di quanto Tintoretto potesse aver voluto.
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