Artista molto attivo a Venezia tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo, Vittore Carpaccio, figlio di un certo Pietro, nacque in data ignota, ma collocabile tra il 1455 ed il 1465.
Poco sappiamo anche della sua formazione: sicuramente entrò in contatto con varie scuole artistiche poiché oltre a riferimenti all’ambiente veneziano, nelle sue opere si riscontrano anche spunti fiamminghi e ferraresi.
Raggiunta una piena autonomia e maturità espressiva, nel 1490 Carpaccio iniziò il ciclo delle Storie di Sant’Orsola (Gallerie dell’Accademia, Venezia), che portò a termine nell’arco di alcuni anni fino al raggiungimento di un perfetto equilibrio tra ritmo dell’azione, morbide luci, colori brillanti e moltiplicazione dei dettagli descrittivi.
Lo stesso livello lo possiamo ritrovare nelle tele dipinte tra il 1502 ed il 1507 per la Scuola di San Giorgio degli Schiavoni (Storie dei santi patroni della confraternita, San Giorgio, San Girolamo, San Trifone, tuttora in sito), mentre il ciclo per la chiesa di Santa Maria degli Albanesi, del 1504-1508, (Storie della Vergine) e quello avviato nel 1514, per la corporazione dei Lanieri (Storie di Santo Stefano), smembrati e dispersi in vari musei, appaiono meno concentrati.
Oltre alla realizzazione dei teleri narrativi per le sedi delle Scuole, Vittore Carpaccio si occupò anche di dipingere ritratti e soggetti religiosi destinati alla devozione privata.
Dopo aver ottenuto alcuni incarichi ufficiali a Venezia come il Leone di San Marco nel Palazzo Ducale e la pala d’altare della chiesa di San Vitale (1514), la sua carriera veneziana pare esaurirsi sia perché rimasto fedele alla tradizione quattrocentesca ormai superata dai suoi contemporanei sia anche per il definitivo affermarsi di Tiziano.
Carpaccio concluse così la sua attività fuori Venezia, a Bergamo, nel Cadore ed in Istria, luoghi dove il suo stile ormai attardato trovava ancora ammiratori.
Non è nota la data della morte di Vittore Carpaccio che si può ritenere sia avvenuta tra la fine del 1525 e gli inizi del 1526.
Opere di Vittore Carpaccio
Redentore benedicente tra quattro apostoli, 1480-1490 circa, olio su tavola, cm 70×68, collezione privata,
Pietà, 1480-1490 circa, già a Firenze, Collezione Contini-Bonacossi,
Polittico di Zara, 1480-1490 circa, cattedrale, Zara,
Alabardieri e anziani, 1490-1493 circa, tempera su tela, cm 68×42, Galleria degli Uffizi, Firenze,
Storie di Sant’Orsola, 1490-1495, Gallerie dell’Accademia, Venezia,
Uomo col berretto rosso, 1490-1493, tempera su tavola, cm 35×23, Museo Correr, Venezia,
Caccia in laguna, 1490-1495 circa, olio su tavola, cm 76×65, Getty Museum, Los Angeles,
Due dame veneziane, 1490-1495 circa, olio su tavola, cm 94×64, Museo Correr, Venezia,
Ritratto di dama, 1495-1498 circa, olio su tavola, cm 29×24, Galleria Borghese, Roma,
Ritratto di dama, 1495-1500 circa, 43×31 cm, Denver Art Museum, Denver,
Miracolo della reliquia della Croce a Rialto, 1496 circa, olio su tavola, cm 365×389, Gallerie dell’Accademia, Venezia,
Cristo tra quattro angeli con gli strumenti della Passione, 1496, olio su tela, cm 162×163, Civici musei e gallerie di storia e arte, Udine,
Polittico, 1496-1500 circa, chiesa parrocchiale, Grumello del Monte,
Madonna col Bambino e san Giovannino, 1496-1500 circa, olio su tavola, cm 69×54, Städel, Francoforte,
Madonna col Bambino e le sante Cecilia e Orsola, 1496-1500 circa, già in collezione Morosini, collezione privata inglese,
Temperanza, 1496-1500 circa, High Museum of Art, Atlanta,
Prudenza, 1496-1500 circa, High Museum of Art, Atlanta,
Pietà, 1496-1500 circa, Palazzo Serristori, Firenze,
Santa Caterina d’Alessandria e Santa Veneranda, 1500 circa, tempera su tavola, Museo di Castelvecchio, Verona,
Fuga in Egitto, 1500-1510 circa, tempera su tavola, 73×111 cm, National Gallery of Art, Washington,
Teseo che riceve la regina delle Amazzoni, 1500-1510 circa, Museo Jacquemart-André, Parigi,
Meditazione sulla Passione, 1500-1510 circa, olio e tempera su tavola, cm 70,5×86,7, Metropolitan Museum, New York,
Telero per Palazzo Ducale, 1502-1507 circa, perduto,
Storie dei santi Girolamo, Giorgio, Trifone e Matteo, 1502-1507, tempera su tela, Scuola di San Giorgio degli Schiavoni, Venezia,
Storie della Vergine, 1504-1508, olio su tela, già a Venezia, Scuola di Santa Maria degli Albanesi, poi smembrate e disperse nelle seguenti collezioni:
-Natività della Vergine, cm 128×137, Accademia Carrara, Bergamo,
-Presentazione della Vergine al Tempio, cm 130×137, Pinacoteca di Brera, Milano,
-Miracolo della verga fiorita (o Sposalizio della Vergine), cm 130×140, Pinacoteca di Brera, Milano,
-Annunciazione, cm 130×140, Galleria Franchetti della Ca’ d’Oro, Venezia,
-Visitazione, cm 130×140, Museo Correr, Venezia, in deposito alla Galleria Franchetti della Ca’ d’Oro,
-Morte della Vergine, cm 130×141, Galleria Franchetti della Ca’ d’Oro, Venezia,
Sacra Famiglia e donatori, 1505, tempera su tela, cm 90×136, Museu Calouste Gulbenkian, Lisbona,
Sacra conversazione, 1505 circa, olio su tavola, cm 96×126, Musée du Petit Palais, Avignone,
Sacra conversazione, 1505 circa, Staatliche Kunsthalle Karlsruhe, Karlsruhe,
Sacra conversazione, 1505 circa, University of Arizona, Tucson,
Madonna leggente, 1505, tempera su tela, cm 78×51, National Gallery of Art, Washington,
Cristo benedicente, 1505-1510 circa, olio su tavola, cm 58×46,5, Isaac Delgado Museum, New Orleans,
Madonna col bambino benedicente, 1505-1510 circa, tempera su tela, cm 85×68, National Gallery of Art, Washington,
San Tommaso in gloria tra i santi Marco e Ludovico di Tolosa, 1507, tempera su tela, 264×171 cm, Staatsgalerie, Stoccarda,
Morte della Vergine, 1508, olio su tavola, cm 242×147, Pinacoteca nazionale, Ferrara,
Presentazione di Gesù al Tempio, 1510, tempera su tavola, cm 421×236, Gallerie dell’Accademia, Venezia,
Ritratto di cavaliere, 1510, olio su tela, cm 218×152, Collezione Thyssen-Bornemisza, Madrid,
Ritratto di nobile veneziano, 1510 circa, olio su tavola, cm 35,6×27,3, Norton Simon Museum, Pasadena,
Papa Alessandro III che ad Ancona conferisce al doge Alessandro Zen l’insegna del parasole, 1510 circa, olio su tela, già a Venezia nella Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, distrutto nel 1577,
Papa Alessandro III che concede l’indulgenza nel giorno dell’Ascensione ai visitatori di San Marco (forse in collaborazione con Giovanni Bellini), 1510 circa, olio su tela, già a Venezia nella Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, distrutto nel 1577,
Profeta, (attribuito), 1510 circa, olio su tela, cm 186×87, Galleria degli Uffizi, Firenze,
Sibilla, (attribuito), 1510 circa, olio su tela, cm 186×87, Galleria degli Uffizi, Firenze,
Cena in Emmaus, 1513. olio su tela, 260 x 375 cm, chiesa di San Salvador, Venezia,
Storie di Santo Stefano, 1511-1520, olio su tela, smembrato e disperso nelle seguenti collezioni:
–Santo Stefano e sei suoi compagni consacrati diaconi da san Pietro, 1511, cm 148×231, Gemäldegalerie, Berlino,
–Predica di Santo Stefano, 1514, 152×195 cm, Museo del Louvre, Parigi,
-Disputa di Santo Stefano, 1514, cm 147×172, Pinacoteca di Brera, Milano,
-Lapidazione di Santo Stefano, 1520, cm 142×170, Staatsgalerie, Stoccarda,
-Perduto il Processo di Santo Stefano,
Polittico di Santa Fosca, 1514, smembrato tra il Museo Correr di Venezia, la Strossmayerova Galerija di Zagabria e l’Accademia Carrara di Bergamo,
Pala di San Vitale, 1514, chiesa di San Vitale, Venezia,
Diecimila martiri del monte Ararat, 1515, olio su tela, cm 307×205, Gallerie dell’Accademia, Venezia,
Leone di San Marco, 1516, tempera su tela, cm 130×368, Palazzo Ducale, Venezia,
Polittico di Capodistria, 1516-1523, Capodistria,
Polittico di Pirano, 1518, Pirano,
Polittico di Pozzale, 1519, Pozzale,
San Paolo, 1520, chiesa di San Domenico, Chioggia,
Cristo morto, 1520, olio su tavola, cm 145×185, Gemäldegalerie, Berlino.
Opere di Vittore Carpaccio
Arrivo degli ambasciatori
Datazione: 1494 circa,
misure: cm 275×589,
tecnica: tempera su tela,
collocazione: Gallerie dell’Accademia, Venezia.
La leggenda di Sant’Orsola, tratta dalla Legenda aurea di Jacopo da Varagine, racconta della figlia del re di Bretagna che acconsentì a sposare l’erede al trono d’Inghilterra a patto che si recassero a Roma per essere battezzati.
Dopo aver sognato il proprio martirio, di ritorno a Colonia con il promesso sposo e il Papa Ciriaco, Sant’Orsola fu uccisa in una strage degli Unni che assalirono il gruppo e vollero così impedire la cristianizzazione del Nord Europa.
Questa storia costituisce il soggetto scelto per la decorazione della sede della Scuola di Sant’Orsola a Venezia: le scuole veneziane erano tipiche associazioni benefiche i cui membri si ponevano l’obiettivo di aiutare il prossimo, in base alla loro professione o alla loro provenienza.
Erano quindi delle confraternite che, alla fine del Quattrocento, rivestivano un’enorme importanza nella vita sociale e religiosa di Venezia ed erano famose anche per il decoro e la magnificenza delle loro sedi.
La sede della Scuola di Sant’Orsola, costruita nel XIV secolo ed attualmente canonica del convento dei Santi Giovanni e Paolo, fu decorata tra il 1490 ed il 1495 da Vittore Carpaccio con otto teleri.
Primo della serie nella sequenza narrativa della leggenda di Sant’Orsola, ma non il primo ad essere dipinto l’Arrivo degli ambasciatori raffigura il momento in cui giunti da Sant’Orsola in Bretagna, gli ambasciatori inglesi chiesero la sua mano.
Gli elementi architettonici scandiscono il racconto in parti distinte: a sinistra un porticato sotto cui indugiano alcuni gentiluomini, al centro il re mentre riceve gli ambasciatori e a destra Sant’Orsola, nella sua stanza, che pone al padre le sue condizioni mentre la nutrice aspetta ai piedi della scala.
La composizione appare come se fosse un grande trittico, dipinta su un unico grande supporto, ma suddivisa in tre parti: alle rigide spartizioni date dalle cornici lignee, si è sostituita la visione multipla consentita dalla costruzione prospettica.
Un’impaginazione spaziale rigorosa permette infatti a Carpaccio di presentare il racconto quasi si svolgesse su un palcoscenico dove l’azione procede da sinistra verso destra.
La libertà d’invenzione si accompagna ad una precisa visione centrale che indica come Vittore Carpaccio fosse a conoscenza delle scoperte rinascimentali in questo campo.
In molti dei personaggi raffigurati, ritroviamo inoltre dei ritratti eseguiti dal vero: secondo alcuni critici sarebbero da identificare con alcuni confratelli e membri della famiglia Loredan, benefattori della Scuola e forse protettori dell’artista.
Caratterizzati da un impassibile distacco, questi ritratti appaiono per l’acutezza della visione, assai vicini a quelli di Antonello da Messina, saldi nella forma ed intensamente espressivi della psicologia del personaggio.
Infine, il rigore delle soluzioni prospettiche fa di questo telero l’opera più complessa del ciclo e quella sicuramente più influenzata dalla cultura figurativa dell’Italia centrale.
Un ricordo della Consegna delle chiavi, affresco del Perugino nella Cappella Sistina in Vaticano (1481-1482), è presente nell’edificio a pianta centrale sullo sfondo, in cui confluiscono le linee di fuga della composizione.
Inoltre, il grandioso tono narrativo, in un’ambientazione che mostra richiami alla città di Venezia (si veda il canale con la gondola a sinistra) animata dalla presenza di illustri personaggi contemporanei, si avvicina molto a quello di Domenico Ghirlandaio che poco prima aveva dipinto a Firenze straordinarie cronache di vita fiorentina.
Miracolo della reliquia della Santa Croce al ponte Rialto
Datazione: 1494 circa,
misure: cm 363×406,
tecnica: tempera su tela,
collocazione: Gallerie dell’Accademia, Venezia.
Vittore Carpaccio dimostrò le sue non comuni capacità di cronista figurativo della vita veneziana in questo telero facente parte del ciclo coi Miracoli della Croce, dipinto assieme a Gentile Bellini, Lazzaro Bastiani, Giovanni Mansueti e Benedetto Rusconi per la Scuola di San Giovanni Evangelista.
Nel 1369 la confraternita religiosa aveva ricevuto in dono un frammento ligneo della Croce dal gran cancelliere del regno di Cipro e Gerusalemme, Filippo Mezieres: la reliquia divenne assai celebre nel Quattrocento per aver compiuto numerosi miracoli che si vollero ricordare in queste tele.
In questo dipinto è raffigurato l’episodio della guarigione miracolosa di un ossesso: l’evento avviene sotto la loggia, in alto a sinistra, dove il patriarca di Grado guarisce l’indemoniato per mezzo della reliquia della Croce.
Nell’opera di Carpaccio questa scena passa quasi inosservata, essendo inserita in un ampio e dispersivo contesto urbano: più che al miracolo in sé, sembra che l’artista abbia voluto porre maggior risalto al brulichio, all’animazione, al ritrovo delle persone sotto i portici dei fondachi, presso il Canal Grande.
C’è chi si ferma a discutere di affari, chi passeggia e chi attraversa il canale in gondola: la minuta ed accurata descrizione delle numerose persone conferisce una straordinaria vivacità a questo spaccato di vita quotidiana, dove le figure non sono più statiche come nei teleri di Gentile Bellini, ma in movimento. Inoltre, l’affascinante realtà dell’ambiente lagunare è descritta in modo molto naturalistico nei colori e nelle luci.
Gli edifici reali, disposti lungo le rive del Canal Grande, sono efficacemente scalati in prospettiva e visti entro un’intelaiatura spaziale rigorosa che conferisce esattezza realistica alla rappresentazione.
Vi si notano il ponte di Rialto ancora in legno, con una parte mobile al centro per il transito delle grandi imbarcazioni, edificato nel 1458, crollato nel 1524 e poi sostituito dall’attuale in pietra.
Sulla sinistra si riconoscono l’albergo dello Storione con la sua insegna e la riva detta ancora oggi del Vin. Sulla destra sono il fondaco dei Tedeschi, poi distrutto nell’incendio del 1505, Ca’ da Mosto con il porticato terreno ancora oggi esistente, il campanile di San Giovanni Crisostomo e quello dei Santi Apostoli, poi rifatto nel 1672.
In basso a sinistra, una folta schiera di personaggi, patrizi veneziani, confratelli della Scuola e compagni della Calza, assistono all’evento miracoloso che si svolge al primo piano.
Nel 1544, sentito anche il parere del pittore Tiziano, si ritagliò in basso a sinistra un rettangolo di tela, per permettere l’apertura della porta che doveva condurre alla sala dell’Albergo nuovo realizzata in quegli anni. La lacuna fu poi in seguito arbitrariamente integrata.
Bellissimo il particolare dei panni stesi non già a delle corde bensì infilati in lunghe pertiche.
Il sogno di Sant’Orsola
Datazione: 1495,
misure: cm 274×267,
tecnica: tempera su tela,
collocazione: Gallerie dell’Accademia, Venezia.
Dipinto facente parte del ciclo dei teleri realizzati da Vittore Carpaccio per la Scuola di Sant’Orsola a Venezia, raffigura l’episodio del sogno della santa ed è il telero che più di tutti ha sofferto i danni del tempo e degli eventi: fu esposto soltanto nel 1852 per assicurare completezza alla serie, ma la superficie dipinta risulta notevolmente impoverita per la perdita di cromia originale e parzialmente alterata da ridipinture.
Nonostante ciò, l’invenzione compositiva mantiene intatto il suo incanto, cui contribuiscono il gusto per il particolare di origine fiamminga e l’analisi dettagliata degli oggetti in un’intelaiatura prospettica non immemore delle opere di Antonello da Messina e di Piero della Francesca.
Nell’opera la prima luce dell’alba penetra nella stanza, immersa nella penombra: nel più assoluto silenzio l’angelo sosta immobile sulla soglia mentre Sant’Orsola riceve nel sonno l’annuncio del suo martirio.
Il palpito lievitante della luce mattutina è il vero protagonista di questo capolavoro della pittura veneziana del Quattrocento, in cui si percepisce un senso di quiete, di abbandono totale come se ogni oggetto fosse immerso nel sonno: il letto con le pantofoline, il cagnolino, lo scrittoio con l’occorrente per scrivere, l’acquasantiera, le piante di mirto e di garofani sul davanzale.
L’abbandono fiducioso della fanciulla al suo destino di martire si riflette poeticamente nel semplice esistere delle cose rivelate dalla luce. La grandezza dell’artista consiste nell’aver saputo creare un’atmosfera di sottile spiritualità nella concreta realtà di un tiepido interno quattrocentesco.
La composizione è carica di riferimenti simbolici, allusivi al passaggio dalle nozze terrene a quelle mistiche.
A questo si riferiscono i due vasi posti sul davanzale della bifora: quello con i garofani allude al matrimonio profano mentre quello col mirto si riferisce alle nozze con Cristo suggellate da Sant’Orsola attraverso il martirio; la sua fedeltà è poi figurata nel cagnolino ai piedi del letto.
Le due statuette classiche di Venere ed Ercole poste sopra le porte prefigurano rispettivamente la Vergine e Cristo.
Inoltre, ritroviamo raffigurato, forse per la prima volta, un letto a baldacchino esattamente come doveva essere nella realtà. Si tratta essenzialmente di una lettiera, cioè di un letto quattrocentesco, a cui sono state aggiunte quattro sottili colonne che sostengono un cielo di stoffa leggerissimo, decorato da un elegante smerlo con piccole nappe. Non sono rappresentate le tende o cortine, ma è quasi sicuro che fossero comprese in questo genere di letti.
La composizione, rigorosamente impostata nei termini della prospettiva lineare di origine fiorentina, si distingue per una resa spaziale limpidissima in cui la luce gioca un ruolo essenziale.
Questa successione di ambienti, ognuno illuminato in modo diverso – riconducibile alla pittura fiamminga e forse allo stesso Van Eyck – è un motivo utilizzato, prima che da Carpaccio, anche da pittori dell’Italia centrale come Piero della Francesca e Beato Angelico.
Il risultato più compiuto di queste ricerche di origine fiamminga, per un’articolata resa spaziale con fonti di luce diversa ed una minuziosa osservazione dei particolari, resta comunque la stupefacente tavoletta del San Girolamo nello studio, opera di Antonello da Messina (1474, National Gallery, Londra).
Presentazione della Vergine al Tempio
Datazione: 1503-1504,
misure: cm 130×137,
tecnica: tempera su tela,
collocazione: Pinacoteca di Brera, Milano.
La Presentazione della Vergine al Tempio fa parte di un ciclo di sei teleri con Storie della Vergine, realizzati da Vittore Carpaccio per un ambiente della scuola di Santa Maria degli Albanesi, creata per venire incontro alle esigenze religiose e sociali della comunità albanese all’epoca molto numerosa a Venezia.
Nel 1808 il dipinto della Presentazione della Vergine al Tempio giunse a Milano nella Pinacoteca di Brera, assieme ad altri due dello stesso ciclo, uno dei quali, quello raffigurante la Nascita della Vergine, passò in seguito all’Accademia Carrara di Bergamo.
Nella Presentazione della Vergine al Tempio, Carpaccio realizzò un bizzarro pastiche architettonico e paesistico, che allude alla città di Gerusalemme dove il fatto si svolse: se la torre sullo sfondo, al centro, richiama sia quella del palazzo dei Signori a Padova sia quella della torre dell’Orologio di piazza San Marco, a Venezia, a sinistra svetta un’altra torre, molto affusolata, simile ad un minareto; ad essa, sulla destra, fanno da contrappunto alcune folte palme accrescendo l’atmosfera medio-orientale della scena.
Per la raffigurazione di questo soggetto, Carpaccio utilizzò uno schema compositivo spesso presente in altri dipinti della Presentazione della Vergine al Tempio, realizzati da artisti veneti: le figure sfilano da sinistra a destra, la Vergine fanciulla è in piedi a metà della scala, il sommo sacerdote, in alto, fa un cenno per accoglierla.
Pare che il primo artista veneto ad aver adottato questo schema, sia stato Jacopo Bellini, autore di un disegno, oggi conservato a Londra, reimpiegato, con alcune varianti oltre che da Carpaccio, anche da Cima da Conegliano e da Tiziano.
Nella Presentazione della Vergine al Tempio di Carpaccio osserviamo una particolare cura per i dettagli: entro lo spazio architettonico sullo sfondo, ben studiato è l’inserimento del profilo della Madonna mentre sul basamento della scalinata troviamo raffigurato un bassorilievo con scene di violenza, probabile allusione alla brutalità del mondo pagano al quale l’avvento di Cristo, di cui Maria è madre, pose fine.
Inoltre, dettaglio curioso è la presenza in primo piano di un fanciullo che tiene al guinzaglio un cerbiatto, variante forse non priva di significato simbolico del fanciullo con il cane, soggetto presente nelle opere degli artisti veneti fino al Settecento.
Sacra Famiglia e donatori
Datazione: 1505,
misure: cm 90.1 x 133.9,
tecnica: tempera ed olio su tavola,
collocazione: Museo Calouste Gulbenkian, Lisbona.
La Sacra Famiglia e donatori è considerato uno dei migliori dipinti di Vittore Carpaccio e risale al 1505 come si ricava dall’iscrizione in basso: VICTOR CARPATHIVS/MDV.
Nel dipinto è messa in risalto la scena dell’Adorazione del Bambino, mentre ai lati troviamo i donatori dell’opera, realisticamente raffigurati e con le stesse misure delle figure sacre: quest’ultimo è un elemento di novità che testimonia una pratica artistica che si diffuse dall’inizio del XV secolo, riflettendo chiaramente l’impatto dei valori umanistici sull’arte.
Così il Bambino Gesù fu qui raffigurato senza i suoi attributi divini, in modo realistico, senza nessun intento idealizzante.
La composizione dell’opera presenta inoltre una serie di piani narrativi dai colori ricchi e luminosi: sullo sfondo si nota un ampio paesaggio entro il quale sono descritti minuziosamente personaggi a cavallo, edifici e piante.
Meditazione sulla Passione
Datazione: 1510 circa,
misure: cm 70,5×86,7,
tecnica: olio e tempera su tavola,
collocazione: Metropolitan Museum, New York.
Il dipinto della Meditazione sulla Passione entrò nelle collezioni del Metropolitan Museum di New York nel 1911: all’epoca riportava una falsa firma di Andrea Mantegna, “Andreas Mantinea f.” che fu poi rimossa nel 1945 durante un intervento di restauro che riportò alla luce la firma originale di Vittore Carpaccio.
La già discussa attribuzione ad Andrea Mantegna fu così definitivamente archiviata e non vi sono invece dubbi sull’autografia di Vittore Carpaccio.
In quest’opera la centralità della figura del Cristo morto, riverso su un trono in rovina, è bilanciata dalle figure di Giobbe e di San Girolamo.
Il primo siede su un blocco di marmo sul quale è incisa una scritta in ebraico che recita “Io so che il mio Redentore vive”, frase tratta dal Libro di Giobbe. I ricci dei capelli di Giobbe si confondono con la sua barba folta e crespa.
L’intensa espressività di questo volto è accentuata dalla fronte leggermente corrugata, dallo sguardo lontano, dalle occhiaie profondamente scavate dal naso che si erge pronunciato e robusto su un volto segnato dalla magrezza e dalla vecchiaia.
In posizione quasi speculare si trova San Girolamo, che aveva nei suoi scritti interpretato le parole e le sofferenze di Giobbe come la prefigurazione della Passione e della Resurrezione di Cristo.
San Girolamo è ben riconoscibile dagli attributi con cui è abitualmente raffigurato. Appoggiati sopra il pilastro in rovina dietro di lui vediamo il libro ed il cilicio, riferimenti alla sua vita di studioso e di eremita.
Da dietro sbuca il leone che, secondo la tradizione, il santo liberò da una spina che gli si era conficcata in una zampa e che sembra anch’esso assorto in silenziosa meditazione.
Le gambe e le braccia nude del santo sono percorse da vene perfettamente delineate nella magrezza delle carni, a sottolineare ulteriormente la disciplina austera della sua vita.
La composizione dell’opera è ricca di particolari che rimandano ai temi della morte e della Resurrezione: di vertebre umane è fatto il rosario che pende da una rovina accanto a San Girolamo, di osso è il manico del bastone del santo ed ancora resti umani si trovano ai piedi di Giobbe. Il piccolo uccello che si libra sopra la testa di Cristo allude invece alla Resurrezione.
Dietro alle figure in primo piano è descritto un paesaggio complesso e minuziosamente raffigurato: sulla sinistra il terreno è scosceso e roccioso. L’aridità, fatta eccezione per qualche ispido cespuglio, ha prosciugato qualsiasi tipo di vegetazione, come si può notare dallo spoglio tronco nodoso.
Sulla sommità, un cane fa la guardia ad una grotta (forse l’entrata dell’Inferno) e, poco più sotto, una lonza che ricorda quella descritta da Dante, addenta un cervo. A destra, invece, i declivi si addolciscono, le piante crescono rigogliose, irrorate da un fiume che scorre placido, gli alberi sono alti e frondosi.
Il leopardo convive pacificamente con il cervo e con gli altri animali in libertà. In lontananza una sorta di città ideale è popolata da uomini e donne organizzati, sembra in una serena e tranquilla comunità. Vi si riconosce il Paradiso Terrestre, simbolo di Resurrezione, in contrasto con l’Inferno, negazione della vita, luogo di morte senza speranza.
Evidenti sono inoltre i riferimenti alla Pietà di Giovanni Bellini (1460-1465 circa, Pinacoteca di Brera, Milano): marcata è infatti la somiglianza tra le due figure di Cristo morto ed in entrambe gli occhi sono leggermente gonfi, la bocca è socchiusa, gli zigomi ed il naso sono ugualmente pronunciati, identica è l’espressione che la morte disegna sui loro volti.
Inoltre, il paesaggio nella Pietà di Bellini, che si intravede sulla sinistra, richiama la dolce e feconda natura che si apre dietro alla figura di Giobbe.
Leone di San Marco
Datazione: 1516,
misure: cm 130×368,
tecnica: tempera su tela,
collocazione: Palazzo Ducale, Venezia.
Il Leone di San Marco è un telero dipinto da Vittore Carpaccio per il Magistrato dei Camerlenghi a Rialto: successivamente portata nel Palazzo Ducale di Venezia dove è tuttora conservata, l’opera mostra in primo piano un leone alato, simbolo di San Marco evangelista e patrono di Venezia. Sotto la zampa si nota la presenza di un libro dove sono riportate le seguenti parole latine: Pax tibi Marce aevangelista meus.
Da osservare come il leone ha le zampe anteriori sulla terraferma e quelle posteriori in acqua: ciò è stato interpretato come un riferimento alla politica della Repubblica di Venezia che in quegli anni si stava espandendo sulla terraferma.
Fanno da sfondo a destra i velieri del porto veneziano, mentre sulla sinistra sono riconoscibili alcuni edifici della città di Venezia: San Nicolò al Lido, Palazzo Ducale, la Basilica di San Marco, il Campanile, le colonne di San Marco e San Todaro, la Piazzetta e la Torre dell’Orologio.
Ritratto di dama (attribuzione controversa a Vittore Carpaccio)
Datazione: XVI secolo,
misure: cm 28,5×24,
tecnica: olio su tavola,
collocazione: Galleria Borghese.
Opera di dubbia attribuzione, ma in genere accolta tra le opere di Vittore Carpaccio sulla base di confronti stilistici con le celebri Dame del Museo Correr a Venezia.
Questo ritratto femminile della Galleria Borghese raffigura probabilmente una cortigiana: al collo ha un triplo giro di anellini d’argento ed una collana di perle, simbolo di castità, nonché indizio di ricchezza e nobiltà che fanno supporre si tratti di una donna prossima al matrimonio o da poco sposata.
Bibliografia
U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, pp. 35-38, si veda il catal. della mostra V.C., Venezia 1963, pp. 333-360 (e la bibl. della mostra pubbl. dal comune di Venezia nel 1964). Per una bibl. essenz. si veda Lauts, 1962, pp. 305-307. In M. Muraro, C., Firenze 1966, oltre a un’estesa bibliografia, a pp. 59-70 si trova anche una trascrizione di tutti i documenti. Ma vedi anche: G. Vasari, Le vite…, a cura di G. Milanesi, III, Firenze 1878, pp. 627-642; T. Borenius, The Picture Gallery of Andrea Vendramin (1627), London 1923, pp. 6, 17, 30 n. 25, 34 n. 43, 36 n. ss;
C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte (1648), a cura di D. von Hadeln, Berlin 1914, ad Indicem;G. Lorenzi, Docum. per servire alla storia del palazzo ducale…, Venezia 1868, passim;G. Ludwig-P. Molmenti, V.C., Milano 1906; G. Zorzi, Notizie d’arte e d’artisti nei diari di M. Sanudo, in Atti dell’Istituto veneto, CXIX (1960-61), p. 548; R. Pallucchini, I teleri del C. in S. Giorgio degli Schiavoni, con una app. di G. Perocco, Milano 1961; G. Lauta, C., Köln-London-New York 1962 (rec. di T. Pignatti, in Master Drawings, I[1963], p. 48);
Z. Wazbinski, Autour de C., in L’informationd’hist. de l’art, VII(1962), pp. 164-168; A. Busiri Vici, Vicenda di un dipinto. La caccia in valle, in Arte antica e moderna, 1963, n. 24, pp. 345-356 (ma anche G. Fiocco, in Boll. d. Museo civico di Padova, 1955, pp. 61-70); V. Branca-R. Weiss, C. e l’iconogr. del più grande umanista veneziano: Ermolao Barbaro, in Arte veneta, XVII(1963), pp. 35-40; R. Gallo, La Scuola di S. Orsola. I teleri del C., in Boll. dei Musei civici veneziani, VIII (1963), 2-3, pp. 1-24; L. Magagnato, A proposito delle archit. del C., in Comunità, CI(1963), pp. 70 ss.;
G. Perocco, C.nella Scuola di S. Giorgio degli Schiavoni, Venezia 1964; K. Ambrozic, Duedipinti di V. C., in Arte veneta, XVIII (1964), pp. 162-65; R. Longhi, Il critico accanto al fotografo, in Paragone, XV(1964), 169, pp. 31-38 passim;V.Branca, E.Barbaro e l’Umanes. venez., in Umanes. europeo e Umanesimo venez., a c. di V. Branca, Firenze 1964, pp. 193-212; G. Previtali, La fortuna dei primitivi, Torino 1964, ad Indicem;F. Valcanover, Le storie di S. Orsola, Firenze 1965; W. Pokorny, C.’sAlcyone cycle, in The Burlington Magazine, CVIII (1966), pp. 418-21;
J. A. Cauchi, Un disegno del C.… alla Valletta, in Paragone, XVII(1966), 191, pp. 44 s.; P. Zampetti, C., Venezia 1966; M. Cancogni-G. Perocco, L’opera completa del C., Milano 1967; Le Cabinet d’un grand amateur,P.-J. Mariette…(catal.), Paris 1967, p. 53; C. Morazé, S.Georges, une expérience allégorique, in Connaissance des arts, gennaio 1970, pp. 58-67; T. Pignatti, C., Brescia 1970; G. Poschat, Bemerkungen zu C. und Mantegna, in Konshist. Tidskrift, XI, (1971), pp. 99-106; M. Muraro, V.C. o il teatro in pittura, in Studi sul teatro veneto…, Firenze 1971, pp. 7-19;
T. Pignatti, C., Disegni, Milano 1972; B. B. Frederickaen-F.Zeri, Census of Pre-Nineteenth-Cent. Ital. Paintings in North American Public Collect., Cambridge, Mass. 1972, p. 47; F. Herrmann, The English as collectors, London 1972, ad Indicem; G. Pochat, Figur und Landschaft…, Berlin-NewYork 1973, ad Indicem; J.M. Fletcher, Sources of C. in German woodcuts, in The Burlington Mag., CXV(1973), pp. 599 ss.; M. Setras, Esthétiques sur C., Paris 1975.